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La democrazia in RAI: risate di sottofondo

1878 sono i giornalisti stipendiati dalla RAI. Questo spiega che l’azienda non è “servizio pubblico”, ma ufficio di collocamento dei dirigenti dei partiti politici che si sono spartiti la RAI, e il bilancio in rosso non spaventa gli amministratori tanto nessuno caccia nessuno, e c’è sempre la mano pubblica pronta ad aumentare il canone o a ripianare i bilanci.

La dimostrazione scientifica che vi è stata una lottizzazione di tipo politico è che due reti sono in mano al governo e una (RAI3) all’”opposizione”, e mai i “giornalisti” si sono opposti a questo sistema che mortifica la professione, piegando la deontologia professionale che imporrebbe indipendenza, completezza di informazione, inchieste accurate, terzietà, in un umiliante fiancheggiamento delle “linee editoriali”, che si traduce nel dare quelle notizie utili ad uno schieramento politico e ad omettere quelle sgradite (Minzolini del TG1 non ha dato nei titoli la notizia della sentenza di Palermo che coinvolge Berlusconi).

L’unico vero giornalismo che si vede in Rai è quello della Gabanelli che, infatti, non è una dipendente, ma è a contratto temporaneo.

Questo sistema è contro i cittadini e ciò brucia moltissimo, in  quanto i costi che tengono in piedi questa baracca sono a totale carico dei cittadini stessi che pagano il canone e vengono truffati e sbeffeggiati da chi ha l’impudenza di definire “servizio pubblico” questa occupazione “de facto” abusiva ed illegale, che calpesta le regole della democrazia.

Per un paese democratico è necessario e vitale avere un contrappeso allo strapotere della editoria privata, per impedire che si affermi il “pensiero unico” di ispirazione capitalista (in quanto i proprietari di reti televisive e giornali sono tutti capitalisti), e che questo contrappeso sia finanziato dai cittadini, con il potere di eleggerne il direttore generale, in regolari elezioni, tra personalità assolutamente indipendenti da partiti, economia, religione.

Nessun partito chiede ciò. Nemmeno Di Pietro, nemmeno Grillo che ci dice che la televisione è morta, ma lo spettacolo indegno che porterà la RAI al fallimento esigerebbe una reazione e una iniziativa senza la quale nessun “pubblico servizio” potrà mai vedere la luce.

Dobbiamo tener conto che moltissime persone, soprattutto delle classi subalterne, anziani, casalinghe, hanno nella TV l’unico riferimento informativo e le elezioni le vince chi è in grado di convincere questo segmento dell’elettorato, quantificabile tra il 10% e il 20% dell’intero corpo elettorale.

Se aggiungiamo che il Vaticano, con i soldi dell’8 per mille e con la capillare presenza sul territorio, da sempre appoggia la destra e la conservazione, ecco la nostra democrazia mostrarsi con il suo vero volto: una oligarchia di forze economiche, mediatiche,  religiose, supportate da massoneria, organizzazioni tipo Comunione e liberazione, con a disposizione mezzi enormi, legami internazionali, tradizione di potere, che davanti hanno il nulla di una sinistra sparita senza più identità, divisa, incapace di presentare un progetto antagonista per l’economia e l’ambiente.

La campagna politica per avere un servizio pubblico tipo BBC è vitale anche se le televisioni saranno sempre meno decisive in futuro.

Buttare fuori i partiti dalla RAI e affidare ai cittadini che pagano il canone il compito di eleggere la persona più adatta a fare il loro interesse, sarebbe un passo avanti enorme e cominceremmo ad essere meno sudditi e più protagonisti, e magari ci prendiamo anche gusto.

Si potrebbero vedere anche gli scrittori, che oggi ingrassano colpevolmente Berlusconi che domina l’editoria, unirsi in associazione e pubblicare in proprio le loro opere uscendo da un bieco individualismo e da una subordinazione a decisioni dittatoriali di chi pubblica solo per avere profitti.

L’autogestione, la cooperazione, sono le parole magiche che possono farci uscire dal letargo, dalla rassegnazione, dalla subalternità al capitalismo, e soprattutto possono togliere denaro e potere in modo irreversibile a chi pensa che solo i padroni fanno funzionare le cose.

 Se non si riesce a dimostrare, con fatti e iniziative, che molte persone riescono ad autogestirsi e a collaborare tra loro con buoni risultati, si farà sempre più strada l’idea e la cultura che ci deve essere sempre chi comanda e chi obbedisce, sia al padrone che allo Stato. Tra la Cina e gli USA non mi pare che sia una grande differenza, entrambi i paesi hanno bisogno di schiavi salariati per alimentare le loro assurde e distruttive economie globali.

La terza via è tutta da aprire e si chiama autogestione dal basso in tutti i settori medio-piccoli ed è l’unico futuro che abbiamo.

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