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La democrazia corre sul Web

Mentre tutti i partiti hanno trascorso le ultime settimane fra feste e think tank estivi, la "vera" Politica non è andata certamente in vacanza. Trascinata dalla straordinaria onda emotiva che ha reso protagonista la società italiana in questo 2011 di rinascita culturale e di rinnovata partecipazione civile, è sul web che continua a irrobustirsi la nostra democrazia alternativa.

La cosiddetta "Wikicrazia", infatti, senza enormi risorse e mossa soltanto dalla passione dei netizen, si sta diffondendo ovunque nel mondo condizionando il dibattito pubblico e perfino le scelte dei singoli governi, mettendo in evidenza il grande potenziale dell'intelligenza collettiva della Rete.

Tanti sono i casi di "e-democracy" destinati a riformare dal basso gli antichi modelli politici e decisionali. A Matera, ad esempio, un manipolo di giovani idealisti molto preparati si è cimentato nei giorni scorsi, frequentando la summer school della Rete dell'Eccellenza Nazionale, nella sfida di cambiare la qualità delle misure politiche e istituzionali attraverso Internet. Ricorrendo al sistema sperimentale dell'Open Data, vale a dire alla libera messa a disposizione dei dati pubblici al fine di generare soluzioni moderne a ogni problema sul tappeto, hanno infine elaborato il progetto "Kennedy 2.0" (ancora a livello di prototipo ma di belle speranze): "Non chiederti cosa il tuo Paese può fare per te, ma cosa tu puoi fare con i dati del tuo Paese"

Lo sbocco di un simile tracciato è quello del passaggio dall' "e-gov" al "we-gov", dove accanto al governo che si mette in Rete per fornire servizi ai cittadini si collocano direttamente questi ultimi come co-produttori di politiche pubbliche. La cooperazione online fra governanti e governati, come dimostrerebbe uno studio recente del Pew Research Center sul futuro di Internet, porterà a migliorare entro il 2020 l'efficacia delle istituzioni nel rispondere ai bisogni della gente comune. E consisterebbe proprio in ciò l'aspetto "rivoluzionario" dei nuovi strumenti di comunicazione e di diffusione della conoscenza.

Barack Obama, che per molti osservatori è il "primo presidente wiki della storia", ha avuto modo di sostenere che la portata delle odierne difficoltà economiche e sociali necessita di una partecipazione diffusa. I governi non possono farcela da soli, devono potere (e volere) contare sulla creatività popolare. E in effetti l'America del nuovo corso ha lanciato siti come data.gov, challenge.gov e apps4democracy, immediatamente emulata da diversi Paesi europei pronti a competere fra loro per dimostrare di essere i più aperti e trasparenti.

L'Open Government, tuttavia, per quanto utile e importante, non è il caposaldo della nuova democrazia partecipativa. La quale non può che fondarsi sul "movimento" dal basso. Le tantissime piattaforme sviluppate per segnalare problemi e disservizi della pubblica amministrazione, per monitorare l'operato dei parlamentari, per proporre e inviare petizioni online alle autorità provengono innanzitutto dall'iniziativa e dall'inventiva dei cittadini.

Sempre negli Stati Uniti, nel 2009 è stato addirittura introdotto nell'immenso spazio del Web 2.0 il progetto Code for America, una fondazione sorta per aiutare le comunità a diventare più trasparenti e a meglio interagire coi cittadini. Alle città che aderiscono vengono inviati per un anno cinque sviluppatori, in missione per conto del Web stesso, col compito di aiutare le amministrazioni locali a risolvere i problemi della collettività.

La selezione per il 2012 si è appena conclusa e vi hanno preso parte, per soli 26 posti disponibili, ben 550 persone motivatissime provenienti da tutto il mondo. Sono i "civic hackers", esperti di tecnologia con la passione per la condivisione dei valori in Rete che sognano una nuova politica.


In Italia analoga esperienza è ravvisabile solo nel fortunato sito OpenPolis, dove dal 2008 sono disponibili i dati sull'attività dei parlamentari e dei circa 130 mila politici eletti. Un modello che ha dato la spinta a strumenti di collaborazione sociale e di cittadinanza attiva sorti in seguito: ePart, Decorourbano, Roma Futura sono solo alcuni fra gli esempi più stimolanti.

L'utilità sociale è un obiettivo perseguito a livello globale con sempre maggiore vigore. Chi non conosce l'attivissima comunità di Avaaz.org, dove "il mondo entra in azione"? È forse l'esempio più noto di mobilitazione civica in Rete ma altri soggetti stanno per entrare in scena, perfino promossi dai governi.

Il prossimo 20 settembre partirà ufficialmente l'Open Government Partnership, un'alleanza per la trasparenza internazionale voluta da Usa e Brasile a cui hanno già aderito Gran Bretagna, Norvegia, Messico, Indonesia, Filippine e Sud Africa, con altri nove Paesi pronti presto ad aggiungersi. Tra questi non figura purtroppo l'Italia, sempre latitante quando si tratta di ripensare le regole della partecipazione in Rete e di responsabilizzare i cittadini. Che per fortuna, come dimostra la puntuale mobilitazione in occasione dei referendum passati e futuri, quando occorre sanno fare da se'. 

Anzi, i tempi a dir poco "agitati" nei quali viviamo, caratterizzati dal contagio delle proteste e delle rivolte in vari contesti geopolitici, spesso suggeriscono di agire pur in assenza delle istituzioni stesse. Tanto che per tenere traccia di tutto quanto accade continuamente nel mondo, un gruppo di volontari internauti ha pensato bene di creare Crowd Voice, un preziosissimo e consultatissimo punto di riferimento dell'indignazione online.

Chi vuole, ad esempio, conoscere come realmente la gioventù araba e quella iraniana stanno vivendo le iniziative di ribellione politica e culturale delle loro rispettive comunità, oppure saperne di più della feroce repressione dei dissidenti in Russia o delle proteste studentesche in America latina, senza i filtri e le distorsioni di gran parte dei media occidentali, è bene che vada a farci un giro. Così come è interessante consultare Israelis for Palestine, gestito da giovani israeliani "laici" che non condividono le drastiche misure riservate dal proprio governo agli abitanti della Striscia di Gaza; o Postcards for Iran, che punta l'indice contro la deriva fondamentalista e teocratica di Ahmadinejad e degli ayatollah.

I siti che danno spazio alle "voci di folla" (crowd voice significa proprio questo) raccolgono spezzoni di notizie "sul campo" inserite direttamente dagli utenti iscritti, organizzate a forma di mosaico per essere più agevolmente "taggate" e pubblicate in base a una selezione interna (AgoraVox è in ottima compagnia).

Ad ogni segmento di protesta corrisponde pertanto una "voce", fino a formare una sorta di enciclopedia multimediale. Simili strutture digitali rappresentano, in sostanza, una evoluzione del fenomeno del "citizen journalism" che ha ricevuto l'attenzione degli addetti ai lavori e la nomination al Fast Company, il premio per le innovazioni nel campo del giornalismo ideato da Google.

Insomma, l'affermazione della democrazia e della conoscenza, dei nuovi valori emersi nell'era del digitale, passa solamente attraverso le moderne tecnologie oltre che per i network e le community sociali. Non, però, come li abbiamo conosciuti fino ad ora ma messi all'esclusivo servizio dell'impegno civile e del cambiamento.

Chissà se il cinismo e l'ignoranza del potere (in Italia, almeno in questo, siamo ai vertici) riusciranno a privarci anche di questa eccezionale opportunità di crescita.

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