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La delusione per il "giallo" svedese

Leggendo con attenzione i romanzi di Liza Marklund e Camilla Läckberg, purtroppo, si scopre che sono ben lontane dalla raffinata scrittura di Fred Vargas, Alicia Giménez-Bartlett e Andrea Camilleri

Ne sentivo parlare da qualche anno, e con toni sempre più entusiastici.

Mi riferisco alle “nuove” signore del genere giallo: le due maggiori autrici svedesi, ovvero Liza Marklund e Camilla Läckberg.

La prima ha esordito (nella sua lingua) nel 1985, ma solo nel 1999 la Mondadori l’ha scoperta pubblicando il suo romanzo Studio sex (esaurito e mai più ristampato in edizione cartacea, ma ora disponibile in formato e-book su Amazon con il titolo Studio 6). Il suo successo si lega alla serie di romanzi che hanno per protagonista la giornalista di cronaca nera Annika Bengtzon, che nel nostro Paese sono stati pubblicati dalla Marsilio. La sua ultima fatica l’ha portata a cercare di scalare il mercato americano, producendo a quattro mani con James Patterson Cartoline di morte.

Camilla Läckberg, di qualche anno più giovane, ha esordito nel 2002 con La Principessa di ghiaccio (edito da Marsilio nel 2010). Qualcuno (wikipedia inglese) l’ha definita l’Agatha Christie svedese, e al momento vanta al suo attivo 12 romanzi. Per il lettore italiano la disponibilità è ristretta solo ai primi tre. Anche di questi la protagonista è una donna, Erica Falck, un’autrice di biografie che trovandosi per caso in un piccolo villaggio sul mare del Nord, resta coinvolta – romanzo dopo romanzo - nelle indagini per gli efferati delitti che vi hanno luogo.

Ho dedicato buona parte delle mie letture estive, di solito “meno impegnate”, alla lettura e quindi all’esame del lavoro di queste autrici, per capire e studiare cosa vi fosse di “nuovo” nel fenomeno giallo svedese.

A scorrere il catalogo della Marsilio si evince che la scuderia degli autori svedesi è molto più ampia e articolata (c’è chi viene paragonato a Stephen King e chi a Dan Brown), ma io ho cominciato da quelle autrici che per molti lettori italiani hanno rappresentato la scoperta del pianeta nordico.

Ovviamente cercavo la novità e pregustavo con piacere l’idea di farmi rapire dalla narrativa di queste due autrici… Memore del piacere provato leggendo le storie confezionate da altre scrittrici europee, quali ad esempio Fred Vargas e Alicia Giménez-Bartlett, ma…

Ma andiamo con ordine…

Ho iniziato la mia maratona con il giallo svedese, leggendo il primo romanzo di Camilla Läckberg, La Principessa di ghiaccio (ed. Marsilio).

Liza MarklundPer inciso, le mie ultime letture di gialli avevano avuto come autori gli americani, quelli “classici” che hanno inventato, per intenderci, i tempo sincopati del moderno thriller. Così, arrivando sul pianeta svedese, la prima cosa che mi ha colpita è stata la diversa concezione del tempo, un tempo che definirei lento. I protagonisti dei racconti Made in Sweden vivono in un tempo a misura umana, come nella gran parte del mondo industrializzato si usava fare venti/trent’anni fa. Così il lettore deve regolare i propri ritmi a quelli che sembrano più consoni a un Noir che non a un Thriller. E fin qui, almeno in apparenza, niente di male. Chi non rimpiange il tempo così come era misurato una volta? Chi non ha mai provato nostalgia per le tranquille indagini di Miss Marple nel villaggio di St. Mary Mead o per le analisi che la mente di Sherlock Holmes costruiva dietro il fumo denso della sua pipa nel silenzioso studio di Baker Street?

Ma leggendo l’opera omnia delle due autrici (in italiano sono stati pubblicati tre romanzi della Läckberg e sette della Marklund) ho cominciato a nutrire un’idea diversa, purtroppo, suffragata da vari elementi probatori. E cioè che il giallo svedese sia fondamentalmente diverso dal thriller americano, non per scelta stilistica e di contenuti (come è invece il caso dei lavori della Vargas e della Giménez-Bartlett), ma per scarsa idoneità da parte delle due autrici. Difatti entrambe, dopo averci consegnato delle discrete opere d’esordio, ci hanno propinato delle storie sempre meno plausibili e sempre peggio orchestrate.

Sarebbe troppo lungo e altrettanto impietoso fare in questo articolo un elenco esaustivo degli errori narrativi e dei plot mancati, delle vicende inverosimili o tirate per i capelli delle quali sono costellate le pagine (cartacee o elettroniche, fate voi) delle due gialliste, ma credetemi (dopo averne letti ben 10!) sulla parola: tutto sono fuorché una scoperta sensazionale, una novità eccezionale…

Io le definisco una delusione cocente e a proposito del tempo, quello che i giallisti americani sanno usare così bene (il tempo narrativo), basti un esempio, quello tratto da Lo Scalpellino di Camilla Läckberg.

Per creare suspense gli scrittori di gialli (ma non solo) usano spezzare il corso della narrazione ovvero interrompono una vicenda e ne inseriscono un’altra, ovviamente accessoria alla vicenda principale. Cambi temporali (tipici i flash back nel passato) o di luogo o, ancora, di protagonisti: è stato usato di tutto per intrigare e tenere attaccato al libro il lettore. Fino all’inverosimile.

Questa dinamica, che tanto successo ha avuto anche nel cinema e nei telefilm, era guardata con disprezzo dagli autori della cosiddetta Letteratura Alta, fino a quando almeno gli editori di questi si sono resi conto che questa suspense artificiale faceva vendere… Un esempio per tutti? La Trilogia di New York del grande Paul Auster.

Così i repentini colpi di scena si sono estesi a gran parte dei parti creativi degli scrittori dell’ultimo ventennio.

Ma si tratta pur sempre di una tecnica narrativa per la quale occorre saper gestire il proprio lavoro di scrittore in modo egregio. Sia che si tratti di Letteratura Alta che di thriller o di gialli svedesi.

Camilla Lackberg Nel paesino di Fjällbacka, dove la Läckberg ambienta il racconto de Lo Scalpellino, invece, assistiamo a tanti fatterelli e omicidi che per trovare giustificazione non bastano. Così l’autrice per creare una suspense che manca alla sua storia ricorre a un artificio, tutt’altro che dinamico e portato avanti con davvero poca capacità tecnica. Costruisce un feuilleton che ambienta dagli anni Venti del Novecento in poi, una serie di vicende drammatiche alla Carolina Invernizio che interrompendo le vicende del presente cercano (disperatamente ma inutilmente) di vivacizzarle.

E allora li buttiamo via in toto questi “innovativi e strabilianti” gialli svedesi?

No, non mi permetterei mai di consigliarvi in questo senso. A scavare a fondo, qualcosa di salvabile c’è… La serialità (che sia chiaro non ha nulla di nuovo) è ben sviluppata, il lettore finisce per appassionarsi più alle vicende di umana quotidianità delle due protagoniste (Erica e Annika) che all’impianto giallo, e alla fine scopre che anche la civilissima Svezia in quanto a pari opportunità per le donne non è poi così un altro pianeta, e che i rigurgiti omofobi non sono un problema solo del Bel Paese.

Però, anche qui… Forse se la Läckberg e la Marklund avessero usato più attenzione, se avessero curato di più il loro lavoro… invece certe storie non hanno soluzione e altre arrivano all’epilogo solo per il rotto della cuffia, insomma ben oltre la zona cesarini, con quattro righe lapidarie che non spiegano, non soddisfano affatto il povero lettore.

Viva la faccia della Vagas, della Giménez-Bartlett e, perché no, del nostrano Camilleri

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