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La critica alla cultura di massa della Scuola di Francoforte

I teorici della “Scuola di Francoforte” sostenevano che “le idee degli individui sono un prodotto della società in cui vivono”. Infatti, dal momento che il nostro pensiero si forma nella società, è impossibile o quasi arrivare a conclusioni che siano libere dalle influenze della nostra epoca e del nostro contesto culturale.

La scuola di Francoforte aveva tra i suoi esponenti Marcuse, Adorno, Fromm, Horkheimer e altri ancora. Secondo questi teorici, l'intellettuale deve avere un atteggiamento critico nei confronti della società che prende in esame e questo deve avere come fine un mutamento.

I teorici della Scuola di Francoforte pongono la loro attenzione sul fatto che la popolazione sia “controllata” e l'individuo sia “manipolato”.

Essi combinano Marx e Freud per evidenziare l'importanza del carattere repressivo del mondo contemporaneo. Inoltre criticano la cultura di massa, usata per "ammaestrare" gli individui, per “distrarre” le persone e renderle passive. Si cerca di colpire insomma “un intero sistema di dominio” che elimina ogni tentativo di protesta o di ribellione.

Il “controllo sociale” è affiancato da un enorme condizionamento da parte dei mass-media e da un appiattimento culturale esorbitante.

Il pensiero dei teorici della Scuola di Francoforte, così “di moda” nelle rivolte del 1968, è più che attuale e applicabile alla nostro tempo: quello che essi sostenevano si è estremizzato al massimo livello. La società di cui essi parlavano, totalitaria e repressiva è ancora tale. 

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Commenti all'articolo

  • Di Piero Tucceri (---.---.---.165) 11 settembre 2012 11:16

    Negli anni attorno al 1968, molti giovani di allora, guidati da maetri o da presunti tali, si buttarono supinamente sulla nozione che la scienza fosse equivalente all’ideologia, che la razionalità scientifica si immedesimassa con l’irrazionale logica del capitalismo e che il progresso tecnologico fosse uno degli strumenti della forza produttiva del capitale contro il lavoro. Dal versante opposto, dopo mezzo secolo di cultura idealista, si erano costituiti gruppi di studiosi di logica e di filosofia della scienza rifacentisi all’empiriocriticismo, alla filosofia analitica e al neopositivismo, che ripetevano l’antimetafisica di Avenarius, di Wittgenstein e del Circolo di Vienna per i quali la realtà si riduceva a quella empirica. In quegli anni quasi tutti gli intellettuali erano materialisti, rivoluzionari ecc. La maggioranza ribadiva, con diversi toni, che la scienza avrebbe risolto i problemi pratici dell’uomo e, per la sua portata di conoscenza, avrebbe liberato l’umanità dai pregiudizi e dalle credenze irrazionali. Non veniva infatti a caso l’attenzione del marxismo per la scienza. Non a caso, Darwin sedeva fra Marx ed Engels nell’empireo dei Padri. Lo stesso Lenin, in "Materialismo ed empiriocriticismo", non dissentiva da questa linea e, nonostante il "materialismo dialettico" russo, che stabiliva un confine fra scienza proletaria e scienza borghese, il materialismo storico nella sostanza era scientista. Poi arrivarono Marcuse e la Scuola di Francoforte che ricusarono in toto la società industriale e la sua portata alienante, fondata sulla scienza e sulla tecnica, oppressori e sfruttatori della società operaia. Col senno del poi, bisogna riconoscere che costoro avevano ragione. Lo stiamo verificando direttamente. D’altronde, "Il fondamentale paradosso della nostra esistenza - scriveva Karl Jaspers, in ’Origine e senso della Storia, 1965 - , il poter vivere al di sopra e al di là del mondo soltanto nel mondo, si ripete nella coscienza storica che si eleva al di sopra della storia. Non si può aggirare il mondo, bisogna attraversarlo, non si può aggirare la storia, bisogna attraversarla". Grazie per lo stimolante argomento.

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