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La crisi di Virginia Raggi spiegata con la mitologia greca

C’è una storia nella mitologia greca che può aiutare a capire le ragioni profonde della crisi di Virginia Raggi. E’ il mito di Crono, il figlio di Urano che generava le proprie creature e poi le annientava per timore che queste – un giorno – potessero indebolirlo o addirittura detronizzarlo. Un timore nato dalla predizione dei genitori di Crono, depositari della saggezza e della conoscenza (oggi chiamata onestà).

Nel Movimento Cinque Stelle di Roma chi rappresenta Crono non è una figura dai contorni umani, non è una Paola Taverna, un Alessandro Di Battista o una Roberta Lombardi. A rappresentare Crono è la vis impetuosa e autodistruttrice che anima l’operato del movimento nel governo di Roma. Una forza ferina che ostenta compattezza ma fa crollare teste. Un potere formato da legami clanici, da un’impostazione familistica che racconta di sorelle, fratelli, consorti dei big cittadini dispiegati i quasi tutti i consigli municipali della città. Il potere e l’incesto, come Crono che sposa la sorella Rea. Un gruppo di ragazzi giovani, freschi, dinamici e onesti perché mai vicini a quel simulacro unto e maestoso che si chiama potere. Si lotta con le unghie per far accettare l’alemanniano Marra nella propria squadra.

Ci si scanna per far digerire – dentro al Movimento – i 193mila euro di stipendio della magistrata Raineri come nuovo capo di gabinetto. E poco importa se poi è proprio Marra che (forse) orchestra la richiesta all’Anac per far valutare la posizione della Raineri in Campidoglio. Oggi quel palazzo che “deve essere di vetro” – cit. Mario Sechi – dove tutto sarebbe dovuto essere visibile, trasparente, in streaming, è una fortezza inespugnabile. Un mix tra Fort Alamo e il Palazzo Apostolico dei Borgia dove il piatto avvelenato è più pericoloso di una bordata messicana, in cui la blanda opposizione consiliare fa meno male degli attacchi su Facebook alla Raggi dell’attivista Francesca De Vito, sorella di Marcello.

Se oggi un alieno (il Marziano già c’è stato) scendesse sulla terra e guardasse nelle segrete stanze capitoline penserebbe di aver fatto irruzione – per sbaglio – in una riunione di corrente della vecchia DC. Volti nuovi per dinamiche vetuste. Palazzo Senatorio, con i suoi scorci maestosi e antichi, sembra inghiottire i buoni propositi, ridimensionare i programmi di cambiamento e modificare antropologicamente chi vi entra con lo scettro in mano. Dove forse – come nel labirinto di Cnosso – l’unica alternativa è mettersi le ali e scappare. Stando attenti a non fare la fine di Icaro.

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