• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > La bomba ridicolizzata. Sulla "guerra fredda" tra Iran e Israele

La bomba ridicolizzata. Sulla "guerra fredda" tra Iran e Israele

Lo show di Netanyahu all’assemblea generale dell’ONU, con la vignetta della bomba in stile cartoon, ha sollevato critiche, sarcasmi e anche qualche sberleffo. Non del tutto immotivato.

Si dice che un argomento così serio da poter realisticamente provocare un conflitto duro, sanguinoso ed estremamente pericoloso non dovrebbe essere trattato con mezzi da cartoonist. Si è ironizzato ampiamente, anche nei giornali israeliani di opposizione, su un leader che arriva a comportarsi proprio come un fumettaro. E le caricature si sprecano.

Tutto comprensibile. Tranne il fatto che ridendo o ironizzando su Netanyahu in realtà si rischia di perdere di vista il cuore del problema. Ed il cuore del problema è che l’Occidente non è affatto convinto delle intenzioni pacifiche dell’Iran (o forse non vuole esserne convinto).

Non lo è Israele, le cui élite politiche e militari sono ampiamente divise sulla strada da percorrere, ma concordano nell’essere poco persuase dalle affermazioni ‘pacifiche’ di Teheran; non lo sono gli Stati Uniti né nella versione “soft” di Obama né, tantomeno, in quella “hard” alla Romney. E non lo è l’Europa che si è accodata alle sanzioni economiche che stanno facendo crollare la moneta iraniana colpendo duramente l’economia del paese islamico.

Ma non lo è nemmeno il mondo arabo che vede nel processo di arricchimento dell’uranio il ‘proseguimento con altri mezzi’ della politica iraniana di progressiva estensione della sua sfera d’influenza, che ha un piede nel Mediterraneo e l’altro in quella strozzatura, potenzialmente letale per l’economia mondiale, chiamata stretto di Hormuz. Cioè una grande tenaglia aperta sui bacini petroliferi dei deserti arabi.

Naturalmente questo è solo un aspetto della faccenda, la lettura mainstream come si dice. Chi ritiene credibili le affermazioni di Teheran quando dice di perseguire solo intenti pacifici nell’uso dell’energia atomica, non può che vedere l’aggressività israelo-occidentale (e dei loro alleati più o meno latenti) come un nuova prova del colonialismo imperialista contro le terre dell’Islam.

In un modo o nell’altro, è indiscutibile che, a seguito dell’iniziativa iraniana, si può aprire la possibilità concreta che in Medio Oriente prenda il via una pericolosa corsa all’armamento nucleare, con conseguente crescita esponenziale dei rischi di conflitto.

Si dà per certo che Israele abbia, senza averlo mai ammesso ufficialmente, un arsenale atomico di (forse) centinaia di ordigni; e le intenzioni iraniane sono tutt’altro che chiare: perché mai uno stato con intenzioni pacifiche avrebbe acquistato anni fa dall’Ucraina, violando un embargo internazionale, una dozzina di missili a lunga gittata capaci di montare testate nucleari? Che se ne fa dei missili da crociera con queste capacità un paese che mira solo a sfruttare l’energia atomica per usi civili ?

A scanso di equivoci, potrebbero cercare di dotarsi di un armamento atomico l’Arabia Saudita, che avrebbe già accordi sottobanco con il Pakistan, e un domani chi altro? L’Egitto? La Siria, comunque esca dalla situazione attuale? La nuova Libia? La Turchia? Il vaso di Pandora degli arsenali atomici, aperto una trentina d’anni fa da Israele, potrebbe rivelarsi davvero foriero di tutti i mali del mondo.

Sia chiaro, il problema non è di “giustizia”. Non è giusto che Israele abbia un arsenale atomico - si dice - e che non abbia sottoscritto gli accordi di non proliferazione, sottraendosi così ai controlli dell’AIEA, mentre minaccia di attacco l’Iran che vorrebbe semplicemente fare lo stesso. E non è giusto che l’Iran invece, avendo sottoscritto quegli accordi, sia sotto controllo e, oggi, anche sotto sanzioni. Non è giusto, ma con questa logica sarebbe “giusto” che anche San Marino avesse la sua propria bombetta casalinga.

Il problema vero è invece che il conflitto - dichiaratamente mortale, in mancanza di dialogo politico - fra Israele e il mondo islamico (non solo con l’Iran degli ayatollah, ma anche con i suoi sodali come Hamas e Hezbollah) può restare sotto controllo, paradossalmente, solo se lo squilibrio di forze rimane quello attuale.

Potrà sembrare un discorso criticabile, ma in realtà un domani che l’Iran o uno qualsiasi degli stati arabi si dovesse dotare di armamento nucleare, l’istinto di sopravvivenza dello stato ebraico potrebbe portare costantemente a livelli limite lo stato di allerta delle forze armate israeliane. Non scordiamoci che Israele è grande come la Lombardia, ma per metà desertico; quindi basterebbe un ordigno nemmeno troppo grande piazzato nel mezzo della parte abitabile del paese per paralizzarlo, letteralmente, per anni.

In uno stato permanente di isteria congenita da olocausto nucleare, anche volendo dare per scontata l'indole pacifica del regime iraniano (sulla quale qualche dubbio è legittimo averlo), potrebbe essere sufficiente un banale errore di interpretazione di un qualche tracciato radar per far deflagrare il conflitto con conseguenze drammatiche. Un’esercitazione interpretata come una minaccia reale, un test missilistico preso per un vero attacco - lucciole per lanterne insomma - e il vicino oriente potrebbe essere travolto dal conflitto atomico, che non riguarderebbe solo gli ebrei d’Israele, ma milioni di persone in ogni città mediorientale.

La guerra “fredda” è sempre stata esposta al rischio di diventare terribilmente calda: l’umanità c’è andata vicina nel corso del confronto tra USA e URSS, “quando tre volte il mondo era arrivato a pochi minuti dallo scenario Stranamore, dallo scontro nucleare”, come scrive Zucconi su Repubblica. Figuriamoci che cosa si può rischiare con un confronto che non solo non si è mai raffreddato del tutto, ma che anzi tende spesso a raggiungere il calor bianco.

Naturalmente l’accusa rivolta ad Israele è di avere, con l’arsenale atomico, una supremazia militare che lo mette al riparo da ogni 'freno' e che su questo giochi la sua arroganza nei confronti dei palestinesi.

E’ possibile e forse anche vero; ma è più probabile che il braccio di ferro che mette di fronte da decenni il paese ebraico ai suoi antagonisti arabo-islamici non trovi soluzione non tanto per lo squilibrio militare, quanto per colpa di un difetto congenito della contrapposizione politica, un peccato originale di ambo le parti ognuna delle quali ha negato all’altra il diritto all’esistenza.

Dalla pluricitata affermazione sionista della Palestina come di una "terra senza popolo" fino allo statuto di Hamas dove non c'è traccia, a ben guardare, della proposta di uno stato nazionale palestinese, ma esistono ampie tracce di voler sprofondare il nemico sionista "nel nulla".

Si pensa davvero che la bomba di Teheran indurrebbe Israele a moderare la sua politica nei confronti dei nemici dichiarati o a smantellare le colonie nei Territori? La soluzione al problema israelo-palestinese non può che essere politica; la soluzione militare, a cui entrambi gli schieramenti hanno fatto ricorso nel corso di decenni, è stata l’opzione che ha portato ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

O si crede che l’Iran rischierebbe davvero di infilarsi in un conflitto nucleare pur di difendere i diritti dei palestinesi e di garantire agli abitanti dei Territori un loro stato riconosciuto?

In poche parole, l’arma nucleare in mano ai due contendenti principali sarebbe estremamente più pericolosa della stessa arma in mano ad uno solo dei due, anche se questo non è “giusto”.

Il precario “equilibrio” atomico potrebbe essere troppo spesso messo in pericolo con conseguenze drammatiche; quindi, tutto sommato, sembrerebbe meglio la lampante “ingiustizia” della situazione attuale, che però pare messa seriamente in discussione dal programma atomico iraniano.

A meno che Teheran non convinca tutti che il “suo” atomo è davvero di quelli “buoni”. Per ora non sembra esserci riuscita (o forse nessuno vuole davvero farsi convincere perché il passo dal nucleare pacifico a quello bellico è relativamente breve; quantitativo non qualitativo) e il possibile attacco di "smantellamento" resta ancora l'inquietante opzione sul tavolo anche se, e questa sembra una novità da non trascurare, il leader israeliano ha detto che entro la prossima estate l'Iran avrà raggiunto la fase finale per la produzione dell'uranio necessario alla realizzazione del suo primo ordigno nucleare.

La "prossima estate" significa più tempo. Più tempo per le sanzioni, più tempo per trattare. E più tempo significa che l'attacco non è poi così imminente come poteva sembrare.

Forse il rombo dei cacciabombardieri non incombe più sulle nostre teste come un uragano ormai terribilmente vicino. Forse questo è il vero messaggio dato da Israele all'ONU.

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares