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La Nigeria pronta a condannare a morte altri prigionieri

Secondo quanto riporta Amnesty International, il governo nigeriano avrebbe trasferito lo scorso 23 luglio uno dei prigionieri sfuggiti alle esecuzioni di giugno. Con lui altri detenuti, per i quali si teme il rischio di pena di morte: la pratica, ripresa lo scorso mese, era stata abolita nel 2006.

Lo scorso 26 giugno Afrol.com riportava una notizia di fondamentale importanza per l'avvenire della Nigeria: l'esecuzione di quattro detenuti, mentre un quinto attendeva a breve di seguire lo stesso destino. A spingere in questa direzione il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, parlando direttamente ai governatori degli stati federali di cui si compone il paese: "Non importa quanto sia doloroso, è parte delle loro responsabilità".

Le pene sono state comminate nel sud della Nigeria, nello stato Edo, ma sono rivolte principalmente verso il nord, controllato dal gruppo fondamentalista di Boko Haram. Già a maggio Boko Haram si era reso colpevole di sanguinosi attacchi, ai quali Jonathan aveva risposto in questo modo: "Una dichiarazione di guerra alla Nigeria". Subito dopo, il 6 luglio avrebbero attaccato una scuola cristiana nello stato Yobe, a nord-est, uccidendo 41 studenti e un professore, segnando un'escalation che appare, alla luce della reazione governativa, una spirale con pochi spazi di soluzione.

Jonathan aveva, fin da maggio, promesso provvedimenti straordinari, approfittando di fatto delle leggi anti-terrorismo emanate dall'assemblea legislativa nel 2011. Mentre la linea dura prendeva forma, nel frattempo il Governo utilizzava a suo favore quella che sembra una divisione all'interno del gruppo qaidista, al fine di ottenere un cessate il fuoco.

Era l'11 luglio, e i capi protagonisti della tregua si definivano i "veri leader" di BH, mostrando una crepa nella quale lo stato poteva inserirsi al fine di assicurare la stabilità al paese. I punti focali dell'azione governativa rimanevano quindi due: riuscire a definire un armistizio con capi credibili e capaci di contenere la violenza nel nord del paese, e riottenere il controllo di un territorio vasto e diviso in senso federale, quindi legato a pratiche autonomistiche di stati gelosi delle proprie prerogative.

Anche definire chi ha il controllo su cosa sembra infatti difficile. E il governo nigeriano non pare andare molto per il sottile. Se il trattamento in carcere e l'equilibrio dei procedimenti - tutti passati sotto tribunale militare - non convincono gli attivisti, una nota dell'Ambasciata italiana ad Abuja mette in guardia dal considerare la situazione alla stregua di quella già a rischio che caratterizza il paese. Invita anzi ad un continuo stato di allerta, considerata la possibilità che gli attacchi si focalizzino anche su cittadini italiani.

In un'altra nota, mette poi in guardia anche dalle forze governative: "Si raccomanda [...] a tutti i cittadini italiani di valutare attentamente le proprie frequentazioni anche nell’ambito della comunità internazionale, onde evitare di essere esposti ad eventuali collegamenti con persone potenzialmente oggetto di investigazioni delle Autorità nigeriane. Tali considerazioni valgono non soltanto nei territori settentrionali della Nigeria, già largamente affetti dal fenomeno terroristico, ma ormai anche in altre aree, incluse Abuja e Lagos."

Nonostante la mano pesante, gli attacchi non si sono arrestati, uccidendo 20 persone in una sparatoria il 28 luglio e altre 10 in un attentato dinamitardo del 30. Se il secondo si è svolto a Kano, nel nord, il primo e più grave attacco - va notato - riguarda proprio Abuja, la capitale situata nel centro del paese. La situazione sembra quindi in evoluzione, lasciando aperte più strade: ai segnali di disgregazione di Boko Haram si somma infatti l'aumentata aggressività del gruppo.

Amnesty International si è di conseguenza attivata, riportando notizie da fonti locali secondo le quali "le autorità penitenziarie di una prigione in Nigeria avrebbero trasferito martedì 23 luglio un gruppo di detenuti in celle nei pressi delle forche. Tra loro si troverebbe un uomo sfuggito di poco all'esecuzione in giugno".

Si teme di conseguenza che la prova di forza del governo finisca per colpire la popolazione, provocando un'escalation che finisca per aumentare il sostegno al gruppo jihadista, alimentando le violenze, invece di spegnerle.

Foto: AKRockefeller/Flickr

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