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La Nakba, al Jazeera e l’annullamento della storia

Circola in rete, ora con didascalie in italiano, un documentario molto interessante, prodotto nel 2008 da al Jazeera in occasione del 60° anniversario della Nakba, la catastrofe palestinese. Che coincide, come è noto, con la nascita dello stato di Israele.

Interessante come prodotto storico, anche se sorvola, essendo dichiaratamente di parte, su una serie di particolari scomodi o imbarazzanti per il mondo arabo, più o meno rilevanti, ma evidenti agli occhi di chi conosce un po’ la storia recente del medio oriente.

Come ad esempio la pulizia etnica (la prima espulsione di una comunità etnico-religiosa dalla sua residenza secolare nella storia recente della Palestina) che la comunità ebraica di Hebron subì nell’agosto del 1929 in conseguenza di un sanguinoso pogrom. Ben prima, trentanove anni prima per l’esattezza, che la popolazione palestinese subisse, su dimensioni molto più ampie, la stessa sorte. Ma, per dire, la prassi non era sconosciuta a entrambi i contendenti.

Così come è noto che un numero equivalente di ebrei fu espulso o fuggì dai paesi arabi durante il conflitto del '47-'48 subendo a loro volta una "catastrofe" personale e collettiva di cui peraltro non si parla mai.

Non meno rilevanti sono le contraddizioni tra un sovrastimato accordo politico-militare tra formazioni sioniste e governo mandatario britannico: il documentario racconta per tutta la sua prima parte di una inossidabile collaborazione anglo-sionista, ma non spiega affatto, pur raccontando i singoli episodi, l’improvviso proliferare di attentati sionisti contro le forze inglesi, culminate con l’impiccagione di due sottufficiali dell’intelligence britannica e con il devastante attentato al King David Hotel, sede del Quartier generale di Sua Maestà a Gerusalemme, nel 1946.

Ovviamente la cosa si spiega invece con una sorta di ondivaga equidistanza tra arabi ed ebrei, maggiore di quanto l’emittente del Qatar non voglia ammettere, mantenuta dai militari inglesi sul territorio, decisamente meno schierati in senso filosionista di quanto non lo fossero i loro dirigenti politici a Londra.

Ma, a parte questi peccati veniali, tutto sommato poco rilevanti nell’insieme e speculari rispetto alle ricostruzioni storiche israeliane “ufficiali”, il filmato è molto interessante per i documenti - alcuni decisamente rari come i filmati degli anni '20 - e le interviste a protagonisti dell’epoca come gli anziani profughi palestinesi che raccontano le loro drammatiche esperienze personali, o l’ex poliziotto inglese, per poi approfondire il discorso con studiosi sia arabi che israeliani.

Intervistati gli storici Ilan Pappé, Avi Shlaim, Hillel Cohen, Theodor Katz, esponenti di quella “nuova storiografia”; cioè quegli specialisti che hanno fatto “saltare” la ricostruzione ufficiale della storiografia israeliana sugli anni immediatamente precedenti e successivi alla nascita dello stato ebraico.

Nuovo corso portato avanti, fra polemiche e contestazioni di altri studiosi, non sempre del tutto insensate (vedi ad esempio le critiche di Anita Shapira) e con la parziale presa di distanza dalle tesi di Pappè ("l'espulsione dei palestinesi fu pianificata dai sionisti") da parte del primo degli storici controcorrente, quel Benny Morris ("l'espulsione fu in buona misura una conseguenza non pianificata del conflitto"), non a caso assente nel documentario di al Jazeera, che, con un articolo sulla rivista Tikkun nel 1988, ebbe il merito di far aprire gli occhi a tutti su una nuova lettura delle origini di Israele.

Il filmato però non si caratterizza solo per l’interessante ricostruzione, benché contaminata da qualche inesattezza, omissione, volute amplificazioni o semplificazioni. Né per l'indubbio merito di ricordare le sofferenze del popolo palestinese.

E’ fondamentale vedere come esso presenti al suo pubblico un prodotto accurato, ben confezionato, dal taglio decisamente professionale che si propone di fare “chiarezza” sulla storia, ma che attua nei fatti un eclatante, paradossale, annullamento della storia stessa.

Descrivendo l’immigrazione ebraica in Palestina, il filmato riesce a parlare per più di tre ore senza accennare mai una volta, nemmeno di sfuggita, nemmeno per sbaglio, all’antisemitismo europeo che, a partire dal 1881 per finire ben dopo la seconda guerra mondiale - un arco di settanta anni - colpì in modo devastante l’intero ebraismo europeo.

Un buco nero clamoroso che rende ahimè inaccettabile un prodotto per altri versi ben fatto, che si poneva l’obiettivo condivisibile di riempire il vuoto creato dalla storiografia ufficiale sionista e trasmettere al pubblico, arabo ma non solo, ciò che il pubblico conosce solo parzialmente e per sentito dire.

Ma se per riempire un vuoto se ne crea un altro, macroscopicamente più grande, non si persegue un interesse legittimo e necessario di chiarificazione storica, ma si altera la conoscenza storica in modo assolutamente speculare a quanto si rimprovera (in larga misura giustamente) alla storiografia ufficiale israeliana; e, con questa alterazione, non si devasta solo la capacità di capire ciò che successe davvero in quei tormentati tempi, ma si distruggono anche le possibilità residue di una reciproca comprensione. Che è assolutamente necessaria perché la politica ne possa poi trarre le ovvie conseguenze sul piano di una auspicabile pacificazione.

Nel proporre il superamento di una voluta sottovalutazione delle sofferenze palestinesi - 750mila profughi e decine di migliaia di vittime cui si deve il rispetto che meritano - il documentario di al Jazeera risponde applicando la logica della “sparizione” delle sofferenze ebraiche.

Negando la realtà storica di un secolo di razzismo europeo, decine di sanguinosi pogrom, anni di persecuzione nazista, milioni di profughi e quasi sei milioni di vittime; con lo sterminio proseguito poi anche dopo la fine della guerra proprio in quella Polonia che aveva visto il maggior tributo di sangue ebraico di sempre.

Nemmeno una parola per spiegare che quell’incremento dell’immigrazione ebraica in Palestina nei primi anni ’30 e poi via via intensificatosi - descritto con cura nel fimato con citazioni di numeri esatti e tassi di incremento condivisi dagli storici e dai demografi - non dipendeva dalla volontà colonizzatrice degli ebrei europei, ma dall’intensificarsi della caccia nazista a quegli stessi ebrei europei. A partire dalla salita di Hitler al potere per arrivare alle leggi razziali in Germania, a quelle in Italia, ai primi campi di concentramento, alla guerra e alle prime azioni degli Einsatzgruppe, fino ai rastrellamenti in tutta l’Europa nazistificata e allo sterminio.

Di tutto questo nel filmato non c’è nemmeno un accenno, se non il termine “olocausto” usato una sola volta nella traduzione di un intervento. Nemmeno un pensiero, un ripensamento, un dubbio, una presa di coscienza del fatto, ben noto, che la maggior parte degli ebrei europei non aveva mai avuto l’intenzione di trasferirsi in Palestina aderendo al progetto sionista, nato peraltro - e anche questo non andrebbe dimenticato - sull’onda dei primi pogrom zaristi.

Le statistiche dell’immigrazione ebraica in quella terra dimostrano bene come le prospettive del movimento sionista, nella seconda metà degli anni ’20 erano sostanzialmente fallite nonostante l'inasprirsi delle manifestazioni di antisemitismo in Europa; erano più gli ebrei che se ne andavano dalla Palestina, magari diretti in America (fino a che fu loro consentito) di quelli che arrivavano. Ma proprio le statistiche delle migrazioni fanno anche vedere molto bene come in coincidenza con l’avvento hitleriano in Germania, il flusso dell’immigrazione ebraica riprese in misura esponenziale.

Gli arabi si opponevano a questi arrivi, ed è logico che fosse così. Ma non è affatto logico che ottanta anni dopo quei fatti un’emittente araba si permetta un’operazione di alterazione storica così smaccata. Se si voleva contrastare la storiografia ufficiale israeliana, buonista (pro domo propria) in modo stucchevole, c’erano molti modi per farlo. Ma certo non quello di usare, specularmente, le stesse “dimenticanze”, gli stessi annullamenti, gli stessi omissis. Con il fine manifesto di distorcere la storia, così artefatta, a fini politico-ideologici che sono lampanti nella loro evidenza.

Esattamente quello che fa un qualsiasi negazionista quando afferma che i campi di sterminio non esistevano o, se esistevano dei campi, i gas che vi venivano usati servivano solo a disinfettare i reclusi. E lo si "dimentica" proprio mentre si sorvola con soave leggerezza sul periodo di "soggiorno in Germania e Italia" (nemmeno fosse un turista qualsiasi) del Gran Muftì di Gerusalemme, mente suprema della politica nazionalista palestinese, in realtà ospite a Berlino di Hitler, proprio mentre i forni crematori bruciavano corpi senza sosta, di giorno e di notte.

Lo schiacciasassi di una ricostruzione che rende inesistente l’esistito ha un’unica possibile conseguenza (che è anche la finalità manifesta di questo documentario): se si cancella (delirantemente o delinquentemente, decidete voi) la persecuzione degli ebrei europei, e quindi la loro necessità impellente di salvarsi da qualche parte, quello che rimane è, ovviamente, solo un progetto di colonizzazione pianificato a tavolino dal movimento sionista, senza alcuna altra motivazione che non fosse la realizzazione della sua propria ideologia.

Progetto di costruzione di uno stato su terra abitata per lo più da altri (ma senza scordarsi, come fa al Jazeera, che già alla metà dell'Ottocento, secondo l'ultimo censimento ottomano, Gerusalemme era città a maggioranza ebraica), progetto che c'era - sia chiaro - ma che non aveva alcuna possibilità di riuscita senza l'afflusso dall'Europa di centinaia di migliaia di fuggitivi, che sionisti per lo più non erano. Senza dimenticare anche che, ancora nel 1944, l'idea di stato binazionale raccoglieva nonostante tutto il favore di una minoranza ben significativa del 44% dei voti ebraici della comunità palestinese.

Israele nella ricostruzione polemica dell'emittente araba non è altro che un’entità ideologicamente coloniale, una "entità sionista" come amano definirla certi esponenti dell’islamismo più radicale o i loro epigoni occidentali con disprezzo, avendo perso (ma solo nella testa dei filmaker o dei tifosi del palestinismo senza se e senza ma) la sua vera essenza fondativa: quella di essere stato fondamentalmente il rifugio dei superstiti, dei sopravvissuti, dei fuggitivi, dei profughi.

Lo storico e giornalista francese Dominique Vidal, in un suo seminario di qualche anno fa, si chiedeva «In breve, Israele deve mantenersi sulle posizioni del sionismo tradizionale, e dunque cercare di rimanere uno Stato ebraico? Oppure dotarsi di una nuova identità, ed innanzitutto diventare lo Stato di tutti i suoi cittadini? Inutile sottolineare quanto questa battaglia sia inseparabile da quella che oppone fronte pacifista e fronte nazionalista».

E ricordava «L’articolo che Edward Saïd aveva pubblicato su Le Monde, nell’agosto del 1998, merita, da questo punto di vista, di essere letto con grande attenzione. In questa risposta ai suoi amici arabi affascinati da Roger Garaudy, il grande intellettuale palestinese scrive in particolare: "La tesi secondo la quale l’Olocausto sarebbe un’invenzione dei sionisti circola un po’ ovunque in modo inaccettabile. Perché ci aspettiamo che il mondo intero prenda coscienza delle nostre sofferenze in quanto Arabi se noi non siamo in grado di prender coscienza di quelle altrui, quand’anche si trattasse dei nostri oppressori, e se ci riveliamo incapaci di discutere sui fatti dal momento in cui questi incrinano la visione semplicistica degli intellettuali "ben pensanti" che rifiutano di vedere il legame che esiste tra l’Olocausto e Israele?" Dire che dobbiamo prendere coscienza della realtà dell’Olocausto - prosegue Said - non significa assolutamente accettare l’idea per cui l’Olocausto assolve il sionismo dal male fatto ai Palestinesi. Al contrario, riconoscere la storia dell’Olocausto e la follia del genocidio contro il popolo ebraico ci rende credibili riguardo alla nostra storia e ci consente, inoltre, di chiedere agli Israeliani ed agli ebrei di stabilire un legame tra l’Olocausto e le ingiustizie sioniste imposte ai Palestinesi».

Poche settimane fa il presidente Abu Mazen ha ammesso, credo sia stata la prima volta di un alto esponente politico della comunità palestinese - a parte l'onesto, quanto implacabile avversario di Israele, Edward Said già citato - che l’Olocausto è stato il più odioso crimine dell’umanità. 

Ci sono voluti settanta anni, dalla fine della guerra mondiale, perché un alto esponente politico palestinese decidesse di dichiarare di conoscere quella storia, chiamandola con il suo nome e uscendo dal negazionismo esplicito di tanto mondo arabo.

Non possiamo quindi che essere sconcertati per il fatto che al Jazeera abbia nel frattempo impostato il suo lavoro esattamente nella direzione opposta a quella indicata da Said.

Israele potrà, forse, iniziare a pensare di diventare uno stato di “tutti i suoi cittadini”, perdendo via via la sua connotazione etnico-religiosa (cosa che farebbe felici in primo luogo gli ebrei antisionisti), non solo dopo un lungo e indispensabile periodo di pace con tutti i suoi vicini e dopo un lungo processo di armonizzazione sociale e politica delle varie componenti etniche e religiose interne alla propria cittadinanza, ma anche quando la prassi di annullamento della storia del popolo ebraico - da chiunque provenga - vedrà finalmente la fine.

Fino ad allora la contrapposizione tra “ebrei ed arabi”, fomentata da chi soffia perennemente sul fuoco come fanno certi ambienti dell'ultradestra israeliana così come dell'estremismo palestinese - e come ha fatto al Jazeera in questa occasione, versando sale su ferite antiche mai rimarginate - si alimenterà di continui inviti all'odio e allo scontro.

Esattamente quello di cui non si sente il bisogno a quelle latitudini già travagliate dalla spinosissima questione di Gaza e degli insediamenti nella West Bank, dai razzi e dai tunnel, dagli omicidi mirati e dagli attentati contro i civili.

Ma forse l'Emiro del Qatar, finanziatore, pare, del Califfato islamico quanto ideatore e finanziatore di al Jazeera, ha proprio l'obiettivo di amplificare ancor di più il caos mediorientale. E di questo prima o poi qualcuno dovrà pur chiedergli conto.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.82) 29 settembre 2014 17:00

    Stranamente ho sempre sentito parlare di olocausto (shoah), e non avevo mai sentito parlare della Nabka (non credo di essere l’unico). Quanti libri di storia scolastici ne parlano? Così come viene sottovalutato il massacro degli omosessuali, dei Rom, etc. negli stessi campi di concentramento.
    A proposito di "annullamento", o manipolazione della storia.

    E nessuno si scandalizza?
  • Di (---.---.---.12) 30 settembre 2014 09:38

    Non so cosa significhi "sottovalutare" lo sterminio di rom, omosessuali, testimoni di Geova e altre vittime della follia nazista. Non mi risulta che venga sottovalutato dagli storici, anche se il numero delle vittime ebraiche è dieci volte maggiore di ogni altra "categoria" di vittime. Ma non vedo cosa c’entri con questo articolo.
    Il fatto che lei abbia sentito parlare di Shoah, ma non di Nabka significa solo che lei ignora la storia palestinese; non è certo colpa mia.

    Se invece il suo intento è di contestare in maniera polemica il diverso peso che la Shoah ha rispetto alla Nabka nella nostra percezione, vorrei farle notare che cinque-sei milioni di morti sterminati nei campi nazisti hanno ben altro peso nella storia rispetto alle settecentomila persone palestinesi cacciate di casa. Piaccia o non piaccia le due vicende sono ben diverse e pretendere che siano equivalenti è semplicemente demenziale.

    Inoltre, come ricordo nell’articolo, ai settecentomila palestinesi fuggiti o espulsi nel ’47-’48 fa da contrappeso un numero pressoché equivalente di ebrei fuggiti o espulsi da diversi paesi arabi nello stesso periodo. Ma se lei non ha mai sentito parlare di Nabka, figuriamoci se conosce la storia di quegli ebrei.

    In ogni caso, nell’articolo scrivo che la nuova storiografia israeliana ha avuto dei meriti nel contrastare l’annullamento della storia palestinese da parte di una certa storiografia ufficiale di parte sionista; non vedo cosa ci sia di sbagliato nel sottolineare l’inaccettabilità del documentario di al Jazeera che invece fa un’operazione "culturale" equiparabile proprio a quella.

    FDP

  • Di (---.---.---.82) 30 settembre 2014 11:48

    Nabka: "Settecentomila palestinesi fuggiti o espulsi"

    Hebron: una settantina di ebrei ... "pulizia etnica".
    A proposito di manipolazione della storia.
  • Di (---.---.---.12) 30 settembre 2014 12:18

    Capisco che qualcuno faccia fatica a dover ammettere che il documentario di al Jazeera è un’operazione ideologica farabuttesca, ma qual’è esattamente la differenza tra espellere dei palestinesi ed espellere degli ebrei (la settantina furono i morti, non l’intera comunità ebraica che poi fu espulsa o fuggitiva) ? Non piace parlare di "pulizia etnica"nel caso di Hebron 1929 così come si parla di "pulizia etnica" invece nel caso della Nakba ? Oppure non si può parlare di "pulizia etnica"nel caso degli ebrei (fuggiti o espulsi) dai paesi arabi nel ’48 ?

    Il succo è che la "pulizia etnica" è stata usata da tutti i contendenti (e dagli arabi palestinesi cronologicamente prima di chiunque altro), ma il commentatore 82 (e presumibilmente anche altri) vorrebbe usarla solo a ragion sua.... cioè contro ebrei e sionisti. Purtroppo la storia dice altro.

    Che continui pure ad arrampicarsi sugli specchi.

  • Di (---.---.---.82) 30 settembre 2014 23:48
    Chi ha fatto la differenza tra le due pulizie etniche è lei (facendo, come sempre fa, la stessa "operazione ideologica farabutta" di Al Jazeera), non io. La prego di rileggersi (non arrampicandosi sugli specchi!):

    Nabka - (palestinesi) "fuggiti o espulsi".
    Hebron - (ebrei) "pulizia etnica".

    PS: Ovviamente i palestinesi valgono meno. Anche quando per vendicare tre ragazzi israeliani (ingiustamente uccisi!) si possono massacrare circa 2000 palestinesi colpendo anche scuole e ospedali.
    Certo Hamas, mentre gli altri ... poverini.



  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.12) 1 ottobre 2014 00:01
    Fabio Della Pergola

    Appunto. Continui pure ad arrampicarsi sugli specchi. Sono lì per gente come lei.

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