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La Grecia a lezione di storia

La storia insegna ma non ha scolari

Si è sempre detto: “beata ignoranza”, poiché quando si ignora qualcosa non c’è possibilità di angustiarsi se non all’eventuale momento catartico in cui la cosa ignorata ci esplode tra le mani… e tra le gambe.

E’ notizia di ieri che l’Europa dell’Euro ha stanziato 110 mld di euro per aiutare la Grecia a salvarsi dal fallimento certo con un aiuto bilaterale da parte della UE con 80 mld di euro e dal FMI con 30 mld di euro. Tali aiuti saranno dati già nel 2010 con 15 dal FMI e 30 mld della zona Euro con una quota proporzionale alle proprie quote di capitale nella Banca centrale europea che per l’Italia sono tali da definire un contributo di 5,5 mld di euro. Una bella cifra che in periodi di vacche magre assume connotati stratosferici.

Da più parti si legge che salvare la Grecia sia fondamentale non solo per la salvezza stessa della UE ma anche per scongiurare eventuali effetti domino su altre nazioni, in primis Portogallo e Spagna, in secundis Italia. Sulla prima motivazione ci sarebbe molto da obiettare poiché, come dichiarato alcuni giorni fa dall’economista premio Nobel Jean-Paul Fitoussi in un intervista rilasciata a La Repubblica, la UE sarebbe già bella e defunta avendo dimostrato tutta la sua incapacità a fronteggiare la crisi della Grecia sia per la tempistica, oltre il tempo massimo per non generare il panico sui mercati, sia per l’autonomia di azione essendosi ridotta ad andare a mendicare al Fondo Monetario un’integrazione all’intervento a favore di uno stato membro.

A tutto ciò si aggiunga che la debacle finanziaria della Grecia non è solo legata alla crisi mondiale ma anche e soprattutto a politiche economiche scellerate (aumento degli stipendi nel comparto pubblico in piena crisi) e comportamenti della classe politica del centrodestra, al governo fino ad alcuni mesi fa, oltre ogni ragionevole senso etico e rispetto della legge (falsa dichiarazione di bilancio dello Stato nascondendone la metà di spese).

A seguito della crisi economica mondiale non pochi Stati sono intervenuti per salvare le banche dal fallimento. Anche in sistemi liberali come quello degli USA si sono lasciate da parte le politiche liberiste, difese a spada tratta fino a ieri, con massicci interventi dello Stato. Si veda per tutti il piano TARP (Trouble Assests Relief Program) dell’amministrazione Obama che nel settembre 2008, a seguito dell’esplosione della crisi e del fallimento di Lehman Brothers, stanziò circa 700 mld di dollari a sostegno del sistema finanziario, programma su cui fu raggiunto un accordo bipartisan al Congresso statunitense tra Democratici e Repubblicani, i secondi soprattutto liberisti puri. Il piano prevedeva limiti ai bonus o ad altri compensi che incoraggiassero assunzioni di rischio non necessarie così come prevedeva la restituzione del bonus nel caso in cui si fondassero su guadagni promessi che si fossero rivelati falsi e sbagliati. Veniva inoltre istituito un organismo indipendente di supervisione del programma nominato dal Congresso.

Nonostante tutto ciò è già da un anno che le stesse banche salvate dagli aiuti statali hanno ripreso non solo ad elargire bonus e altri compensi ai propri trader e manager ma a mettere sul mercato i famigerati “derivati” tornando a livelli record del 2008, il tutto mentre l’economia reale continua a boccheggiare così come annotava il Wall Street Journal nella prima metà del 2009. Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve (la Banca centrale americana), consigliere economico di Obama, è già da un pò che, preoccupato della ripresa della finanza creativa, ha lanciato il grido di allarme.

Osservando la lungimiranza di chi definisce le politiche economiche tanto a livello nazionale quanto comunitario e internazionale, viene da pensare che aveva proprio ragione Antonio Gramsci quando nei suoi Quaderni del carcere sosteneva che:“la storia insegna, ma non ha scolari”. Solo che a questo punto sorge spontanea la domanda: ma allora le scuole che le manteniamo a fare con i soldi dei contribuenti?

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