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L’utopia del web

Spero che questo post circoli. Perché è la sintesi di un incontro molto significativo su internet che si è tenuto al Festival di Internazionale, e che ha svelato le contraddizioni della rete. Protagonisti: Michael Anti, blogger cinese, e Evgeny Morozov, bielorusso abitante negli States profondamente critico rispetto alla presunta rivoluzione democratica di Internet.

Wikileaks, le rivolte nordafricane, hanno sostanzialmente donato un alone di santità democratica ai blog, alla comunicazione dal basso, che è di per sé sparcellizzata, individuale, ma riesce, attraverso il potere della comunicazione, ad associare persone, a volte interi popoli, soprattutto con reazioni di pancia, di sdegno, di rivolta appunto.

Ma non è ovunque così, non è necessariamente così. Michael Anti fa parte di 500 milioni di utenti di internet e di 200 milioni di microbloggers in Cina, intendendo con questi coloro che hanno un account Facebook o Twitter o similari. In Cina, per quanto in fortissima crescita economica, egemonica a livello globale, i singoli cittadini, soprattutto quelli delle zone contadine della federazione comunista cinese, vivono in condizioni di forti limitazioni di libertà e con un controllo sanzionatorio che arriva fino alla pena di morte. Stesso dicasi potenzialmente per gli abitanti degli altri distretti, anche se maggiormente occidentalizzati, soprattutto grazie alla forte ricaduta economica. Come è possibile che milioni di possibili dissidenti non animino una rivolta simile a quella del nordafrica? Perchè in Cina Facebook o Twitter non esistono. O meglio, esistono esatte copie cinesi con i server centralizzati a Pechino. E non in California. Questo vuole dire che ogni singolo account è registrato, schedato, pronto per essere eventualmente chiuso, con tutto ciò che potrebbe conseguire per il suo proprietario. E, incalza Evgeny Morozov, Facebook e Twitter, insieme a Google, erano entrate nel mercato cinese, ma se ne sono allontanate non per motivi politici, ma perché non avendo l’utilizzo dei propri server residenti negli States non avrebbero potuto controllare gli account per i fini di profilazione pubblicitaria, certo meno cruenta, ma non meno invadente. Hanno colonizzato e poi venduto quasi subito, con un loro profitto, lasciando la piazza alle rispettive copie cinesi. Discorso chiuso.

Come mai allora la rivolta in Nordafrica è funzionata? Perché Mubarack, per parlare dell’Egitto, caso eclatante ed esemplare, semplicemente ignorava la Rete, e il suo esercito, in gran parte ancora al potere, non considerava pericoloso il web. Quindi ogni account dei bloggers era protetto in California con buona pace di tutti. In Cina no, perché và detto, il Politburo è estremamente attento a tutto, tecnologia compresa. E si dice che sarebbe bastata una telefonata a Mark Zuckerberg per far chiudere gli account “sgraditi” al potere.

Insomma, nei Paesi con forme di governo dittatoriale, consapevoli del potenziale del web, la rete è un efficace strumento di controllo, e non esiste tuttora, sostiene Morozov, governo, agenzia o associazione che si interessi a questo problema sostanziale di libertà. Al contrario la cosidetta primavera araba è stata lodata negli States anche per favorire l’approdo di aziende e la costruzione di infrastrutture utili per potenziare i megatrust della tecnologia.

In Bielorussia, altro Paese con gravi problemi di libertà di opinione e di democrazia, le generazioni più giovani usano Facebook e Twitter ma per veicolare da uno all’altro lo sberleffo, la satira nel confronto del potere. E’ insomma una comunicazione sostanzialmente immatura, inefficace per un reale cambiamento. Non esiste una reale movimento, che comunque verrebbe anticipato dal KGB nelle piazze, che, come in Cina, monitora ciò che avviene in rete. Insomma, lo sfogo in rete è un modo accettabile di contenere ogni forma di dissenso organizzato.

E poi esiste il fenomeno Wikileaks di Assange, che riletto in chiave cinese rappresenta il tipico narcisismo da hacker occidentale. Michael Anti parla di un’operazione fuori controllo, che per un criterio assoluto di trasparenza ha creato un caos istituzionale che certo può aver giovato ai paesi dove la democrazia è matura, e dove gli scandali possono spostare opinioni, masse, fare cadere qualche testa. Ma nella Cina attuale le informazioni di Wikileaks hanno portato all’arresto di molti dissidenti, professori universitari, intellettuali, giornalisti, che avevano rapporti riservati con le ambasciate per tenerle aggiornate sulla situazione dei diritti umani. E’ l’ineffabile fascino del “Crowd Sourcing” secondo Morozov, certo un po’ irresponsabile.

Morozov, movimentista di piazza convinto, fiducioso nelle organizzazioni sul territorio, cita Angela Davis per descrivere severamente il fenomeno lampo di Wikileaks: “E’ come il junk food: ti soddisfa per un attimo ma non ti nutre”. Meglio avrebbe fatto Assange a fermarsi prima, a organizzare quella rete di hackers motivati e pronti non solo a curiosare dallo spioncino per poi cadere nella sterile protesta delle discussioni in rete, ma creare un nocciolo solido di attivisti di piazza. Ora Wikileaks è un maelstrom di infiltrazioni, false informazioni, un agente di notizie poco affidabile.

Michael Anti torna sul caso cinese per puntualizzare che una nuova Tien An Men all’epoca di internet sarà impossibile, perché gli studenti e i contadini che si muovevano dalle regioni federate e arrivavano in massa fino a Pechino per denunciare i governatori locali, ora trovano nelle petizioni online una risposta da parte del governo centrale, ben lieto di monitorare la temperatura dell’insoddisfazione popolare e di sostituire i governatori sgraditi per mantenere perfettamente lo status quo.

Ma non tutto è perduto secondo Morozov e Anti, e le risposte che forniscono paiono convincenti: Morozov suggerisce di seguire le tecniche di marketing 2.0 statunitensi, assolutamente all’avanguardia (vedi il celebre “cluetrain manifesto” ndr) e applicarle alla controinformazione. Anti spiega invece di non disperdersi su mille argomenti ma specializzarsi su tematiche e diventarne i massimi esperti, per acquisire credibilità, fiducia e seguito. Le persone vogliono sapere “ora” e in modo approfondito. “Concentrarsi sul punto subito, che deve emergere già dal titolo, evitare di mandare troppi tweet al giorno, meno di dieci, e mantenere sempre la concentrazione”. Affascinante, elementi di SEO spiegati ai militanti. Nuovi e consapevoli leader crescono nella rete.

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