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L’inviolabile diritto alla felicità

L'inviolabile diritto alla felicità
“A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”.

La Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776 apre il trattato alla base dell’attuale prima super potenza mondiale con la rivendicazione dei diritti naturali garantiti a ciascun individuo. La semplice essenza costituisce il presupposto per poter pretendere da tutti l’inviolabilità di questi tre baluardi di democrazia perché in ciascuna di quelle parole è racchiuso il sangue dei giusti.

Il fatto di dover imparare ad accostare la parola felicità a quella di “diritto” deve aver spaventato non poco il vecchio ed millenario continente, così determinato in quegli anni a limitare ai lumi di una scatola cranica anche il diritto a dei sentimenti.

Quindi, in atti volgari e politici occorre per legge imparare a declinare il concetto di felicità, garantendone l’accesso ai singoli individui, all’intera collettività.

Astraendo, quindi, un sentimento per sua natura personalissimo dai soggettivismi che ne rendono impossibile un’elargizione pianificata.

La classe politica degli Stati Uniti d’America giura di rendere ciascun cittadino in grado di accedere alla propria felicità. Decisamente un bell’impegno; anche perché quando a dei dirigenti politici è assegnato il dovere di rendere concreta la felicità dei propri compatrioti, ad essi è imposto di immergersi tra la gente e sentirne gli umori. Percepirne le tensioni. Proprio come fa Bersani.

In Italia questo diritto non è sancito dalla Costituzione. In fondo, credo si sia giunti alla considerazione - peraltro condivisibile- che non dovesse essere responsabilità di uno Stato esplicitare la garanzia la felicità tra i diritti inviolabili. La felicità dipende dalle scelte di ciascuno di noi, ed è prioritario che siano quelle ad essere libere abbastanza da farci arrivare alla realizzazione di una vita felice. Sono le scelte la chiave del nostro diritto.

Aldilà dell’avvicinamento al 4 luglio e del compleanno degli USA, il diritto alla felicità torna oggi nelle cronache nazionali grazie una mostra fotografica di un’artista romana, fotografa dotata di un talento imbarazzante.

Il nuovo progetto, appena lanciato, si intitola proprio “Diritto alla felicità” (per chi volesse, trova maggiori info qui). 

Gente comune, volti noti, personaggi della cultura, studenti (dell’Aquila, ad esempio) e politici sono stati immortalati dall’obbiettivo di Speranza Casillo che ha chiesto loro di riflettere sul concetto di felicità e di scrivere una frase che accompagnasse il proprio ritratto.

Luigi Berlinguer, Mario Monicelli, Carmen Consoli, Dario Franceschini, Roberto Saviano, Sandro Ruotolo e tantissimi altri si sono espressi sulla propria percezione della felicità, e i loro pensieri stanno già facendo il giro del web.

Dal relativismo intrinseco al concetto di felicità, di cui parlavamo prima, nascono quindi centinaia di versioni della realizzazione della gente.

Curiosando qui e lì, ho notato che esiste un filo conduttore che lega la maggioranza degli scatti. E ho voluto chiamarlo: “la felicità riflessa”. In molti, moltissimi, hanno risposto illustrando tra le fonti più fresche della propria felicità, quelle che derivano dal veder goderne le persone care.

Ma la cosa che più mi ha colpito è quanto frequentemente, quasi sussurrandolo, il diritto alla felicità si possa declinare, anche in questo 2010 in cui la cultura è massificata e il mondo è un acino di sale, in una negazione.

L’aspetto che più mi stimola nella riflessione e che mi fa incartare nei miei ragionamenti.

Un diritto negato, un proprio arto mozzato. C’è chi parla di felicità come fosse un’utopia e riesce a individuare esclusivamente nella tensione, nel viaggio, la vera essenza felice. Il famoso distillato di felicità.

Così, giusto per farmi del male, ho aperto un atlante (sì, ne esistono ancora!) e ho dato un’occhiata al mondo, quello che ormai noi tutti quantifichiamo solo in ore di aereo.

E ho pensato a quanti individui nel mio Paese, e nell’intero globo, subiscano poiché meno fortunati di me un destino che la felicità non l’ha mai vista neppure di striscio. Ma che risente oggi degli acciacchi per i troppi sforzi per raggiungerla.

Quanta fortuna c’è nella felicità?

Lo so, sembra un pensiero banale, ma dato che in molti hanno dato la propria visione della felicità, mi ci lancio anche io: sorte e scelte. Questa è la strada per la felicità.

E quando si realizza, ecco, allora si chiama libertà. Libertà di essere chi si è e chi non si è. Libertà di scegliere la propria identità senza definirla rinchiudendola in parole, ma aprendola ad atti che sfuggono all’alfabeto.

Selezionare liberamente la rotta, e avere la fortuna che ti porti esattamente dove vorremmo andare. Non orientativamente alla meta. Ma fiduciosamente, e direttamente, ad un sorriso.

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Silvia De Marino

Silvia De Marino

Cresciuta a sfogliatelle, milanese dal 2005. Bocconiana per scelta, democratica per forza di cose.


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