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L’inventata balcanofobia di Trieste nasconde in realtà una "sfida" a Procura e Questura?

 
Questa riflessione nasce dopo aver letto il post a cura di Andrea Olivieri e Tuco pubblicato su GIAP, che certamente ne ha per tutti e tutte, ed offre spunti di riflessione interessanti. E' innegabile che vi sono problemi di nazionalismo, di razzismo, di xeonofobia, in una città, quale Trieste, che ha conosciuto sempre le violenze più estreme proprio in nome e per conto del nazionalismo. 
 
Però, ragionandoci, nutro delle sensazioni, chiamiamole così. L'ex questore di Trieste prima del passaggio di consegne a gennaio 2015 dichiarava che questa era “una città sostanzialmente sicura e vivibile, dove si riesce ancora a dare una risposta anche alle piccole istanze della gente”. Il mese successivo si insediava il nuovo questore, che dichiarava “Qui siamo un'isola felice, ma bisogna sempre stare all'erta per conservare il benessere sociale di cui godiamo“ Nel mentre di questi due passaggi in città accadeva un fatto sconcertante per i canonici rapporti tra stampa e parte delle Istituzioni. Per una “fuga di notizie" si aprivano indagini che nel corso del tempo riguarderanno alti funzionari delle forze dell'ordine, un giornalista di punta del Piccolo di Trieste e non solo.
 
Intanto il Financial Times, con un articolo del 10 luglio 2015, rimarcherà il carattere di città sicura, vivibile di Trieste. Ma così pare non essere. Infatti, alcuni casi di cronaca locale, come ben riassunti nel post indicato in premessa, che introdurranno in città una sorte di allarme balcanico: si parlerà di balcanici, addirittura di Balkantown triestina, concetto che andrà ben oltre il canonico slavi, perché più estensivo, più indefinito ed indeterminabile, emergerà una situazione di non sicurezza. Fatti che in un qualunque luogo sarebbero la norma da relegare ad ordinario atto di cronaca, diventano altro. Ci saranno gli eroi, i paladini della giustizia, i triestini doc, la triestinità che annulla tutte le differenze, purché sia una triestinità in chiave rigorosamente italiana, ed il tutto, però, con un chiaro messaggio. A Trieste le forze dell'ordine, e non solo, non sono in grado di garantire la sicurezza, l'ordine. Ed ecco che un sito internet, una pagina Facebook, che esiste dal 2014, diventa la principale fonte della garanzia dell'ordine e della sicurezza per Trieste. Sito ove vi sono segnalazioni di situazioni di degrado, ove tutti i cittadini diventano “sbirri”; anziché ricorrere ai metodi tradizionali, nel caso di furti, e segnalazioni variegate, denunciano, spesso, tutto pubblicamente. 
 
E quale sensazione percepisci? Che la città è insicura, che le Stato è assente, inefficace. Dunque, quale soluzione? Giustizia fai da te. E quando le forze dell'ordine intervengono, lo fanno perché è merito di quel gruppo nato in rete, mica per la propria indipendente capacità investigativa. Gruppi che vorrebbero essere un supporto alle forze dell'ordine, ma così non è. Sono uno strumento che evidenzia la non fiducia nei confronti del sistema di sicurezza vigente, con il rischio di diventare un surrogato delle forze dell'ordine. E le notizie, le segnalazioni che giungeranno in quella pagina Facebook, diventeranno la fonte strumentale per quell'altro, che porterà alla inventata balkanofobia.
 
 
Se le cose continueranno così, probabilmente non è da escludere che possa ritornare la meridonalefobia. Che nessuno si senta assolto, chiunque può essere coinvolto in tale corto circuito mediatico funzionale ad altre questioni, ad altri scopi, che sussistono anche se non pienamente evidenti.
Ronde 2.0, gruppi internet di pseudo-supporto alla Procura della Repubblica o Forze dell'Ordine, sono in realtà strumenti che diventano alternativi a queste, ed andrebbero vietati per legge, perché la giustizia fai da te, fatta in casa, è pericolosa per la normale convivenza civile. 
 
E poi, quando queste realtà vengono cavalcate ed utilizzate per questioni mediatiche, è chiaro che vi sono altri interessi, altri obiettivi da raggiungere. Poi, il voler vivere in una città ove tutti vogliono divenire poliziotti o giudici è un'idea che respingo a priori, perché dietro l'ordine e la sicurezza vi è sempre un concetto di restrizione della libertà individuale e collettiva, vi è sempre quel più di pericoloso e reazionario, specialmente in un tempo come questo, ove i nazionalismi, riportati in vita da una Europa penosa e da centenari storici governati in pessimo modo, rischiano di fungere da trampolino di lancio per nuove crociate.
 
Il problema è, come ha insegnato WuMing1, che al Confine Orientale gli estremi si realizzano prima che altrove. Ed è vero. 
 
Foto: Ludo, Flickr.

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