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L’insostenibile ingovernabilità del Kuwait

Il 7 ottobre l'emiro del Kuwait ha sciolto il parlamento, tre mesi dopo che la Corte di cassazione aveva dichiarato nullo, per vizio di forma, l'assemblea eletta a febbraio e di fatto reinsediato quella precedente eletta nel 2009 e sciolta nel dicembre 2011. Lunedì 15 ci sono stati violenti scontri fuori dall’Assemblea Nazionale a Kuwait City, tra circa 5.000 manifestanti che protestavano contro il governo e le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, in cui almeno cinque persone - tra cui il figlio di uno dei leader dell’opposizione Ahmed al-Saadoun - sono stati arrestati.

Giampaolo Tarantino su Limes spiega:

La crisi politica di Kuwait City viene da lontano e affonda le radici nella guerra intestina alla famiglia al-Sabah, la dinastia che regna incontrastata sull’emirato. I due rami della famiglia, gli al-Salem e gli al-Jaber, si sono alternati nella carica di emiro, la più alta dello Stato. Questa formula ha retto fino a quando l’attuale emiro, Sheik al-Sabah, membro degli al-Jaber, dopo essersi preso il trono, ha nominato il fratellastro Sheikh Nawaf al-Ahmed al-Jaber al-Sabah e il nipote Sheikh Nasser al-Mohammad al-Ahmed al-Sabah rispettivamente principe reale e primo ministro. Occupando di fatto le cariche più importanti.
La frattura tra le due grandi fazioni si è propagata a tutte le istituzioni del paese, specialmente in parlamento. Secondo la costituzione kuwaitiana, all’emiro spetta la nomina dei ministri mentre il parlamento può bloccare le leggi sottoscritte dal gabinetto di governo e dal primo ministro (che a tutt'oggi viene scelto dalla famiglia reale al potere, ma il cui ruolo dal 2003 è stato separato da quello di erede al trono). Così il parlamento si è trasformato nell’arena principale dello scontro tra le due fazioni.
Il punto di non ritorno è stato raggiunto quando, alla fine del 2011, Nasser è stato rimosso dall’incarico di primo ministro (con conseguente scioglimento del parlamento) a causa di una crisi determinata da diverse accuse di corruzione contro lo stesso Nasser e altri 13 deputati, che hanno coinvolto direttamente anche l’emiro. Colpevole, secondo alcuni, di aver accreditato fondi pubblici su uno dei suoi conti in banca.
Le elezioni del febbraio 2012 sono state vinte da una coalizione piuttosto eterogenea composta da liberali, nazionalisti, salafiti e islamisti. Il risultato è stato annullato per vizio di forma a giugno dalla Corte costituzionale, che ha imposto di ripristinare il parlamento eletto nel 2009. In realtà, dopo la decisione della Corte, l’Assemblea parlamentare non è mai riuscita a riunirsi a causa del boicottaggio dell’opposizione. Da qui la decisione dell'emiro, all’inizio di ottobre, di azzerare nuovamente il parlamento e tornare a votare.
Così il paese andrà alle urne per la seconda volta in un anno. Il governo ha provato a evitare una nuova tornata con un appello alla più alta corte del Kuwait sulla legge elettorale. Nonostante la sentenza abbia confermato il sistema di voto, l’emiro ha deciso di fare muro contro muro e non ha accettato le modifiche. Una decisione che ha scatenato le nuove proteste di piazza.
Le tensioni che si sono impadronite del Kuwait stanno rallentando lo sviluppo dell’emirato. L’economia va troppo piano, soprattutto se si pensa alle sterminate risorse di idrocarburi (con delle riserve stimate intorno ai 102 miliardi di barili - le seste al mondo, il Kuwait esporta circa 2,4 milioni di barili al giorno). L’immobilismo e la frammentazione del sistema politico si fanno sentire. Ad esempio, a causa delle resistenze del parlamento, nel 2008 è andato in fumo un accordo di 11 miliardi di dollari per una joint venture con il colosso della chimica Dow Chemical Co. Anche lo sviluppo delle infrastrutture energetiche e del sistema dei trasporti va a rilento, malgrado l’afflusso incessante di petrodollari. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, dal 2006 l’economia del Kuwait è cresciuta del 2,6 % contro il 4,2% degli Emirati Arabi Uniti, il 5,7% del Bahrein e il 18% del Qatar.

Il 7 dicembre si terranno le quinte elezioni negli ultimi sei anni, le seconde solo nel 2012, e l’opposizione teme che entro la fatidica data la legge elettorale venga modificata dall'emiro per influenzarne a proprio favore i risultati. Secondo il Centro Studi Internazionali:

È in questo quadro altamente instabile che si è aperta la difficile ed annosa questione della riforma elettorale. Il Kuwait è uno dei sistemi istituzionali più aperti del Golfo, anche se l’ultima parola sulle questioni politiche spetta sempre all’Emiro e i partiti sono tutt’oggi considerati illegali. L’opposizione, che da tempo lotta per una legge che renda più trasparente ed equo il processo elettorale, ha tirato un sospiro di sollievo a fine settembre 2012 quando la stessa Corte Costituzionale, che aveva dichiarato illegittimo il nuovo Parlamento, ha invece respinto la proposta di revisione elettorale portata avanti dal Governo, volta a mantenere gli attuali equilibri di potere.
La modifica della legge elettorale è desiderata e al contempo temuta da molti. Se da un lato sono varie le correnti che riterrebbero opportuno un sistema più aperto e democratico, dall’altro ci si rende conto che ciò comporterebbe una modifica alla Costituzione, un precedente pericoloso in grado di aprire il “vaso di Pandora” delle revisioni costituzionali. Tale precedente, infatti, potrebbe essere usato, ad esempio, dall’organizzazione islamista Islamic Constitutional Movement (Hadas) per chiedere di emendare l’articolo 2 e imporre come unica fonte del diritto la Sharia; altre fazioni dell’opposizione potrebbero invece proporre il passaggio ad una monarchia costituzionale, in cui la famiglia regnante ridurrebbe via via il proprio potere in favore di un Governo eletto democraticamente. Dunque, il rischio sentito dalle autorità di Kuwait City è quello di innescare una spirale di rivendicazioni istituzionali che potrebbe portare anche ad un incremento delle manifestazioni popolari di protesta. Gli avvenimenti dello scorso 16 ottobre, quando circa 5.000 persone sono scene in piazza nella capitale per protestare contro l’Emiro accusato di portare il Paese verso l’assolutismo, sono a dimostralo.
Queste dinamiche politiche hanno delle inevitabili ripercussioni sullo stato economico del Paese, paralizzato quanto a sviluppo e crescita economica. Infatti l’empasse politica sta bloccando il piano economico quadriennale (2010-2014) che prevede l’investimento di 107 miliardi di dollari nello sviluppo delle infrastrutture e nell’industria petrolifera. Il tema economico è di fondamentale importanza per uno Stato che basa gli alti standard di vita della popolazione, che per questo non è mai arrivata al punto di rottura nelle proteste contro il sistema, quasi unicamente sulle rendite derivanti dal petrolio. Nonostante la crisi finanziaria globale il prezzo del greggio, in media sui 90 dollari al barile, ha permesso all’emirato una crescita economica del 4,4 per cento nel 2011; ciò, però, non appare nemmeno lontanamente sufficiente per bilanciare quella che è una spesa pubblica in costante aumento. In Kuwait, infatti, il 93 per cento della popolazione è impiegato nel settore statale e la politica di kuwaitizzazione dell’economia, che cerca d’inserire i propri cittadini anche all’interno del settore privato, non sta dando i frutti sperati. I benefit e i salari percepiti nel settore pubblico sono ancora superiori e il costante bisogno di manodopera non ha permesso di porre reali freni all’entrata di stranieri nel mercato del lavoro kuwaitiano. A ciò va aggiunto che i progetti infrastrutturali e la vendita di asset statali, pensati per rinvigorire il settore privato, stentano a progredire proprio a causa delle continue diatribe tra Governo e Parlamento.

Un quadro più approfondito è offerto da questo focus su Equilibri. In aggiunta a quanto già detto, la sentenza che ha invalidato il parlamento formatosi lo scorso febbraio ha contraddetto e insieme aiutato l’emiro: da un lato i giudici della corte costituzionale hanno tacciato di “incostituzionalità” l’atto di scioglimento della precedente Assemblea, dall'altro essi hanno però ristabilito un parlamento più vicino alle posizioni politiche degli al-Sabah. Ma la maggioranza degli eletti si è rifiutata di tornare in aula. Per uscire dall’impasse l’Emiro ha indetto nuove elezioni, sollecitate -anche nelle piazze - dalle opposizioni, perché in assenza di un’Assemblea operativa, è il sovrano a legiferare direttamente per decreto.

Fatto importante: i dissidi fra i due rami della famiglia regnante sono divenuti uno strumento di lotta politica fra parlamento e governo. La prassi che vuole l’alternanza al potere fra gli al-Salem e gli al-Jaber si è interrotta nel 2006. Da quel momento gli al-Salem si sono serviti proprio dell’opposizione parlamentare per mettere in difficoltà il ramo regnante della famiglia.

La storica dialettica fra famiglia reale e ceto mercantile, quei tujjar che oggi rappresentano la middle class urbana e liberale del paese, non basta più a spiegare la vita politica del Kuwait. Accanto all’élite commerciale di tendenza modernista è in ascesa numerica la componente bedu, ovvero i discendenti dei beduini naturalizzati negli anni Sessanta e Settanta con l’obiettivo di aumentare la percentuale dei cittadini dello stato. Oggi i beduini costituiscono circa il 65% della cittadinanza kuwaitiana e si rivolgono soprattutto ai movimenti islamici sunniti, come la Fratellanza Musulmana e i salafiti. Già a partire dagli anni Ottanta, gli al-Sabah hanno favorito l'ascesa dei gruppi vicini alla Fratellanza per controbilanciare le pulsioni riformatrici della classe media urbana.

Lo stallo politico ha avuto conseguenze anche sull'economia, come già specificato più sopra. Inoltre, per placare la tensione sociale, che aveva prodotto numerosi scioperi, il salario dei lavoratori del settore petrolifero è stato aumentato fra il 35 e il 65%, a seconda delle mansioni e gli impiegati pubblici hanno preteso, oltre al 25% in più di stipendio, anche un incremento dell’indennità per straordinari, lavoro notturno, ecc. Il tutto ha però contribuito ad allargare le maglie già generose della spesa pubblica.

In ogni caso, il colpo di mano dell'emiro potrebbe fornire alle opposizioni un'occasione per amplificare il risentimento popolare contro le autorità e spingere ancora di più verso la richiesta di una transizione verso una monarchia costituzionale. Perché il governo non ha ancora rinunciato alle velleità di modifica della legge elettorale: da qui le proteste dell’opposizione.

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