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L’antica tradizione del presepio a Napoli e le simbologie dei suoi personaggi

 

“Natale in casa Cupiello...”, dalla celebre commedia di Edoardo de Filippo dove si parla di cosa mistica e superstizione, ma principalmente l’essere fanciullo come Luca Cupiello, dove ha le mani indaffarate ad unire colla e legno, sognando una Natale con tutta la famiglia riunita per festeggiare questo evento sacro. Un tempo per far nascere il presepio bastavano soltanto del cartone, alcune assicelle, della colla ed una tavola magari recuperata nella vecchia cantina.

Oggi i tempi cambiano, ma una cosa rimane immutata nel tempo a Napoli, San Gregorio Armeno, la strada dei maestri pastori, situata nel centro storico della città. Sulla strada negozi e botteghe artigiane, con mille bancarelle colorate dove tra i mille colori si mescola ad arte da secoli il sacro ed il profano. Ai tradizionali pastori si affiancano statuine che rappresentano personaggi della politica, sport, spettacolo e cultura, insomma un allegro miscuglio di folclore ed anticultura. Ma il presepio tradizionale napoletano trae le sue origini da quello classico ambientato nel 700.

Per la Napoli borbonica del tempo, fare il presepio divenne un patrimonio popolare, un auspicio di buon augurio per la gente comune. Un modo popolare e semplice di dare ospitalità a Giuseppe e Maria, accogliendo il bambino Gesù nella propria casa. La natività del Signore viene così ambientata nel periodo settecentesco, ed i pastori trasmettono umanità e stupore per l’Avvento, attori e spettatori di un popolo napoletano incantato.



Molto importante e la scenografia dove ambientare il presepio, così come la scelta dei pastori con tessuti fatti ad arte da maestri quali Ferrigno, Signo, ed altri ancora. L’attenzione del collezionista deve soffermarsi sui dettagli del viso delle mani e nelle rifiniture dei vestiti, morbidi, ma al tempo stesso precise nelle cuciture e nel modello come nella vera epoca settecentesca. Per chi ha disposizione uno spazio limitato, la scenografia deve ridursi all’essenziale dando risalto alla Natività (la Madonna, San Giuseppe, Gesù bambino), ponendola nel tradizionale stalla-ricovero. La tradizione del presepe napoletano si fonde tra storia, fantasia, superstizione componenti essenziale della cultura del popolo partenopeo.

Abbiamo così il “benino dormiente” nel quale si identifica l’anno nuovo che si sveglia; “il pastore della meraviglia” incantato dalle luci e canti degli angeli annunciatori per l’umanità. I tre re magi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che simboleggiano le varie razze dinnanzi a Cristo, ed i tre cavalli che stanno a rappresentare le fasi del giorno. Il bue e l’asinello alle spalle della mangiatoia, la culla del bambinello, l’uno vuole emergere, mentre l’altro l’asino rappresenta l’ignoranza. Il pescatore ed il cacciatore simbolo di una società matriarcale e patriarcale. Il pastore pecoraio, una sorta di guida per le anime dei defunti. La zingara con il bambino, una rappresentazione del viaggio di Giuseppe e Maria in terra straniera. L’oste personificazione della tentazione. Infine la lavandaia che assiste Maria, nonostante fosse fatto divieto all’epoca per una vergine di visitare una puerpera. Non può mancare anche una fonte d’acqua simbolo di purificazione che scorre sotto forma di ruscello o fontana.

Un’usanza curiosa che rimane a Napoli, nello smontare il presepio appena dopo l’Epifania, resta l’ossatura in cartapesta, che non viene gettata via, ma conservata sino al 17 gennaio sera in cui viene bruciata tra le fiamme del Cippo di Sant’Antonio, affidando al fuoco l’augurio di poter costruire un nuovo presepio il prossimo Natale.

Ancora una volta emerge la superstizione tra il sacro ed il profano, ma basta crederci.

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