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L’aborto post-natale e la confusione nella mente

Che l'aborto susciti infinite discussioni e accese diatribe è cosa nota. Figuriamoci se qualcuno afferma di ritenere plausibile, cioè teoricamente e moralmente praticabile, un aborto post-nascita.

Fa dunque giustamente scandalo l’ipotesi di due ricercatori italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, entrambi filosofi e membri del direttivo della Consulta di Bioetica cioè - drammaticamente - di un'organizzazione finalizzata allo sviluppo di una bioetica "laica". L'idea è quella di equiparare un neonato ad un feto vagheggiando la possibilità teorica di praticare un "aborto" anche dopo il parto. L'articolo, pubblicato sul sito del Journal of Medical Ethics il 27 febbraio, oggi sembra essere stato rimosso.

Ma resta la domanda: come si può "abortire" un neonato?

Il neonato - a differenza di un feto - sembrerebbe essere “nato” (pare strano doverlo ricordare) e quindi la sua soppressione, comunque motivata, non si direbbe un aborto, ma un vero e proprio omicidio, un infanticidio per l'esattezza, se le parole hanno ancora un senso. Al più si potrebbe parlare in certi casi altamente drammatici - di gravissime malformazioni o patologie - di eutanasia, che serve ad evitare a un povero cristo senza futuro di dover attraversare la sua breve e personale valle di lacrime soffrendo inutilmente. A che pro trascinare una vita così? Domande attualissime tanto che il candidato socialista alle presidenziali francesi, Hollande, ha inserito il tema nel suo programma di governo.

Che l'infanticidio sia stato praticato molto a lungo nella storia umana è indiscutibile; i neonati non perfettamente "riusciti" venivano uccisi, basta ricordare l'antica Sparta. E le femmine, in particolare, avevano un destino infausto. Nell'Arabia preislamica le neonate venivano sepolte nella sabbia, fino a che il Corano non ha proibito questa pratica. Ed in Cina l'abbandono delle bambine appena nate era un costume diffuso fino a pochi decenni fa. Qualsiasi società povera eliminava i componenti troppo costosi per favorire la vita di quelli più "remunerativi". Gli handicappati costavano troppo per poterseli permettere e le femmine costavano spesso più di quello che potevano rendere in termini di "produzione" di figli.

Ma con l'articolo proposto dai due ricercatori si va ben al di là sia dell'eutanasia che dell'infanticidio praticato nelle comunità ai limiti della sussistenza:

"Lo stato morale di un neonato è equivalente a quello di un feto, nel senso che entrambi mancano di quelle proprietà che giustificano l'attribuzione di un diritto alla vita ad un individuo. Sia un feto che un neonato sono certamente esseri umani e persone potenziali, ma né l'uno né l'altro sono una 'persona', nel senso di 'soggetto di un diritto morale alla vita' (...) tutti gli individui che non sono nella condizione di attribuire alcun valore alla propria esistenza non sono persone. Il semplice essere umano non è in sé un motivo per attribuire a qualcuno un diritto alla vita. Infatti, molti esseri umani non sono considerati soggetti di un diritto alla vita: gli embrioni di ricambio su cui è consentita la ricerca sulle cellule staminali embrionali, feti di cui è consentito l'aborto, i criminali, dove la pena capitale è legale".

L'impostazione teorica di questo discorso sembra proporre elementi concettuali che creano una profonda confusione in un campo in cui c'è invece bisogno di estrema chiarezza; in particolare quando si sostiene (leggo l'abstract della ricerca) che "entrambi, feto e neonato, non hanno lo stesso status morale delle persone reali" o che "entrambi siano persone potenziali" per concludere che "l'aborto dopo la nascita dovrebbe essere consentito in tutti i casi in cui l'aborto è consentito, compresi i casi in cui il neonato non è minorato".

Così non si distingue affatto fra feto e neonato in quanto sono entrambi definiti 'esseri umani' allo stesso modo; ma se il feto è un "essere" ovviamente l'aborto è un omicidio e la donna che decide di interrompere la gravidanza non è altro che un'assassina. Esattamente quello che dice la Chiesa, ma che lo Stato, con la sua legge che distingue l'aborto dall'infanticidio, rifiuta in modo esplicito.

E se, come sembra, la persona "potenziale" è una non-persona attuale, anche il confine tra "non-persona" e "persona" viene spostato dal momento della nascita (dove sembrerebbe ovvio situarlo) ad un imprecisato momento posto fra la nascita e la vita adulta. Forse quando il bambino comincia a parlare? Forse quando acquisisce la mentalità razionale? O quando la maturazione sessuale è completata?

I due ricercatori ce lo dicono: "Anche se i feti ed i neonati non sono persone, sono persone potenziali, perché in grado di sviluppare, grazie ai propri meccanismi biologici, le proprietà che li rendono 'persone' nel senso di 'soggetti di un diritto morale alla vita': cioè, il punto in cui essi saranno in grado di porsi degli obiettivi e di apprezzare la propria vita".

Diventa difficile considerare "scienza" quella di chi ritiene un neonato "persona potenziale" o che gli nega lo "status morale di una persona reale". O che considera la soppressione di un neonato addirittura come legittima alternativa all'adozione (l'originale inglese dell'articolo recita testualmente: "What we are suggesting is that, if interests of actual people should prevail, then after-birth abortion should be considered a permissible option for women who would be damaged by giving up their newborns for adoption"). Sarebbe un'opzione lecita uccidere un neonato piuttosto che darlo in adozione se la madre dovesse soffrire troppo nell'affidarlo ad altri.

Sembra che ci si avvicini davvero un po' troppo al campo minato dell'eugenetica nazista.

In queste affermazioni la vita sembra essere considerata 'umana' solo quando in grado di pensare se stessa attraverso un pensiero di tipo speculativo, ignorando bellamente che la vita psichica non ha alcun bisogno di "porsi degli obiettivi" per essere; e un neonato sembra spesso apprezzare la propria vita senza doverci pensare su troppo. Curiosamente la proposta provocatoria - che l’Avvenire ha definito un “orrore” - non è altro che l’altra faccia della stessa medaglia proposta da secoli proprio dalla Chiesa che si ostina a sostenere che il feto è un essere umano “vivo”, con tanto di personalità giuridica e pari diritti rispetto al neonato. Primo fra tutti quello di non essere "ucciso".

In questo caso considerare la potenzialità di vita del feto equivalente alla vita reale di un nuovo nato appare come una incomprensibile negazione della differenza fra fatto in potenza e fatto avvenuto; se si nega questa differenza chiunque potrebbe sostenere di essere un morto che cammina perché ognuno di noi (vivente e camminante) è potenzialmente un morto (basta aspettare che passi il tempo necessario all'esaurimento della propria energia vitale). Se si fa un'equivalenza fra il fatto attuale (la vita) e il fatto potenziale (la morte) si legittima il pensiero - ovviamente demenziale - che siamo tutti morti che parlano. E si finisce giustamente al manicomio. Spostate questo modo di ragionare all'inizio del processo biologico e avrete lo sconcertante pensiero della Chiesa cattolica, esaltato ed osannato ogni giorno sulla stampa ed in tutte le televisioni pubbliche.

Neonato e feto quindi sarebbero "esseri" umani uguali, secondo il pensiero degli uni e degli altri. Per gli uni la vita inizierebbe al momento del concepimento, per gli altri all'acquisizione del pensiero razionale, ma entrambi negano radicalmente ciò che accade al momento della nascita.

In questo senso non c'è quindi alcuna reale differenza fra il pensiero dei religiosi e quello degli "scienziati" razionalisti, che appaiono accomunati dalla stessa negazione. In teoria, essi dovrebbero trovarsi su rive metodologiche opposte: le certezze fideistiche sono una cosa, altra cosa dovrebbero essere le certezze scientifiche. A parole; ma se si scava un po' si scoprono queste sorprendenti e illuminanti "prossimità" ideologiche.

In sostanza si tratta di banale incapacità di vedere (o di pervicace volontà di non-vedere) quella radicale differenza che esiste e che l’umanità peraltro ha imparato a conoscere bene, avendo distinto consapevolmente tra feto e neonato, fino ad accettare quasi ovunque nel mondo la legittimità dell'aborto, ma non dell'infanticidio.

Nella bioetica religiosa e in questi, discutibili ambiti razionalisti di bioetica laica, risuonano quindi le stesse note stonate. Quelle che non vorremmo sentire in una bioetica "umana". Cioè in una scienza che si fondi sull'esemplare chiarezza di ben altre teorizzazioni.

Si “nasce” quando si viene alla luce, che è energia capace di attivare le funzioni mentali. Fino a quel momento non esiste vita, ma solo potenzialità di vita; e gli scienziati (quelli un po' più degni di questa definizione) spiegano da tempo e in maniera molto approfondita le differenze che esistono tra una fase e l’altra del processo biologico ed i meccanismi che sottendono alla trasformazione dalla pura biologia del feto nell'utero alla vita pienamente umana del bambino dopo il parto.

Quindi il feto non è ancora un neonato e il neonato non è più un feto. Da cui consegue che l'aborto non è omicidio e l'omicidio (o aborto post-nascita se si vuole continuare con questa ipocrisia terminologica) non è un aborto. In fondo non è così difficile.

E buona notte.

P.S.: Dopo qualche giorno il paper dei due ricercatori è stato rimosso dal sito del Journal of Medical Ethics dove ha trovato spazio invece una lettera aperta in cui gli autori si rammaricano per lo scompiglio provocato. Meglio così.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.199) 7 marzo 2012 12:31

    Molto lungo questo articolo, ma mancante dell’unico riferimento "culturale" utile a dare delle coordinate valide alle sue "fondamenta": la teoria della nascita di Massimo Fagioli che spazza via ogni incertezza o fumosità di ragionamento sull’argomento.
    Un essere umano è tale in quanto e dal momento in cui si costituisce come essere psichico: fatto che avviene alla nascita.

    Giovanni

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 7 marzo 2012 12:40
    Fabio Della Pergola

    Ringrazio Giovanni. La frase "altre teorizzazioni" contiene un link che per motivi che non conosco non funziona. Il riferimento è ad un’intervista di Paolo Izzo proprio a Massimo Fagioli. Qui http://www.paoloizzo.net/fagioli2.htm

    Il riferimento culturale quindi c’è ed è proprio quello che Giovanni esplicita.

  • Di (---.---.---.237) 8 marzo 2012 11:46

    Articolo molto bello e corredato dal link che ora (per cause altrettanto misteriose !) funziona. Grazie.
     Dina Battioni

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 8 marzo 2012 11:53
    Fabio Della Pergola

    Grazie Dina e grazie, probabilmente, alla redazione che forse è intervenuta a correggere il malfunzionamento.

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 8 marzo 2012 13:57
    Fabio Della Pergola

    Aggiungo che la Consulta di Bioetica, http://www.consultadibioetica.org/d..., presieduta da Maurizio Mori, ha come tesoriere quel dott. Mario Riccio che aiutò Piergiorgio Welby a morire come da molto tempo chiedeva.

    Tanto più risulta sconcertante che nel suo direttivo si elaborino pensieri assolutamente discutibili come quelli di Giubilini e Minerva.

  • Di (---.---.---.124) 9 marzo 2012 13:57

    se a questo articolo, ben argomentato, aggiungiamo l’articolo che oggi pubblica LEFT a firma della Dott.ssa Gatti, direi che la esplicitazione non solo è chiara ma completamente esauriente, complimenti, nereo

  • Di (---.---.---.126) 10 marzo 2012 11:59

    "L’impostazione teorica di questo discorso sembra proporre elementi concettuali che creano una profonda confusione in un campo in cui c’è invece bisogno di estrema chiarezza; in particolare quando si sostiene (leggo l’abstract della ricerca) che "entrambi, feto e neonato, non hanno lo stesso status morale delle persone reali" o che "entrambi siano persone potenziali" per concludere che "l’aborto dopo la nascita dovrebbe essere consentito in tutti i casi in cui l’aborto è consentito, compresi i casi in cui il neonato non è minorato"."



    Caro claudio innanzitutto complimenti per il tuo articolo che trovo veramente ben fatto.
    Ho riportato la citazione perché in realtà ciò che dicono i due autori è)

    " the fact that both are potential persons is morally irrelevant"

    In un altro articolo 

    (Journal of Medicine and Philosophy, 37: 49–59, 2012 doi:10.1093/jmp/jhr053

    Advance Access publication on January 11, 2012

    Abortion and the Argument from Potential: What We Owe to the Ones Who Might Exist

    ALBERTO GIUBILINI)

    Giubilini aveva messo in discussione l’argomento della potenzialità distinguendo fra possibilità di vita e potenzialità di vita in base ad una serie di considerazioni piuttosto complesse sulle quali non mi addentro . Scrive 


    <<A choice concerning whether or not to abort is a choice between allowing and not allowing a potential person to exist; it is not between allowing and not allowing her to exist, assumed that she or someone else will exist in any possible case.>>.

    Se ho capito bene il feto è una possibilità di vita, in quanto dipende dalla scelta "morale" della madre, e non una potenzialità che si attuerà comunque in ogni possibile caso . Siccome è solo una possibilità non può essere soggetto di diritto, come sostengono i cattolici. 

    Un saluto domenico fargnoli 




  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 10 marzo 2012 17:17
    Fabio Della Pergola

    il problema ovviamente è che il neonato - non il feto - è considerato privo di diritto soggettivo. Grazie comunque della precisazione.
    Fabio

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