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L’Occidente e l’Isis. La storia di amore e odio tra geopolitica occidentale e fondamentalismo islamico

Un articolo di ieri di Seumas Milne sul Guardian fa il punto su tante ambiguità dell'Occidente nello scenario mediorientale. Un sostegno più o meno attivo e variabile a branche diverse del fondamentalismo islamico si dimostra non essere stato - e non essere tuttora - un mito compottista.

Vi è un filo rosso che collega i rapporti torbidi tra servizi di intelligence occidentali e fondamentalismo islamico, dall'Afganistan negli anni '80 all'Iraq, la Libia e la Siria e presumibilmente persino l'Ucraina in tempi più recenti. Spesse volte gruppi di tale matrice sono stati foraggiati in funzione geopolitica per sbarazzarsi di governi nemici o ritenuti non abbastanza affidabili, salvo poi ovviamente perderne il controllo: sarebbe stato il caso dello steso Bin Laden.

Raccapezzarsi sulla politica mediorientale degli Stati Uniti risulta oggi assai difficoltoso: insieme all'Iran in Iraq, con i sauditi in Yemen; in Siria contro Assad, contro il Daesh e contro i curdi, dichiarando di sostenere - ossimoro evidente - gruppi di "ribelli moderati". Negoziano con l'Iran sul nucleaere, scontentando Israele, che però poi sostengono nelle operazioni militari contro i territori palestinesi, e le petromonarchie saudite, a cui poi però lasciano mano libera nel sostegno a gruppi terroristici in Siria e Iraq. Chi ci capisce è bravo: probabilmente il dato di fondo della stretegia americana, ma anche di alleati come Gran Bretagna e Francia - supinamente allineatasi dopo i tempi dell'orgoglio di Chirac - è proprio la mancanza di una strategia, e quindi di tirare a campare. La stessa impressione si ha quando le stesse potenze perseguono con pervicacia caotica l'espansione a Est della NATO, andando inevitabilmente a impattare con zone di storica e consolidata influenza russa.

Un paio di circostanze segnalate nell'articolo del Guardian sono di particolare interesse. Nel processo intentato allo svedese Bherlin Gildo di fronte a una corte inglese, per accuse di terrorismo in Siria, il teorema accusatorio è crollato, con il ritiro dei capi di imputazione da parte della pubblica accusa. La ragione? L'imbarazzante evidenza che l'intelligence britannica avesse armato lo stesso gruppo che l'accusato avrebbe supportato; la difesa aveva definito un'eventuale prosecuzione del processo "un affronto alla giustizia".

Nel 2012 i servizi segreti inglesi avrebbero, insieme a quelli americani, trasferito massicciamente ai ribelli siriani stock di armi dell'abbattuto governo di Gheddafi, insieme a supporto logistico e addestramento. Il tutto senza naturalmente fare troppa distinzione tra un gruppo e l'altro, in una situazione fluida, di alleanze e rotture continue tra fazioni varie di ribelli. Eppure, da subito il peso preponderante dei fondamentalisti islamici saltava all'occhio. Tre anni dopo, il sedicente Stato Islamico continua ad avanzare su tutti i fronti e la dissoluzione delle cartine geografiche di Nordafrica e Medio Oriente è un dato di fatto. A contribuire all'attuale rotta dell'esercito iracheno è anche la sua intenzionale dissoluzione ad opera dei vincitori dopo la sconfitta di Saddam: successivamente le forze armate del Paese mediorientale sono state riformate, ma con un grado ben minore di professionalità, mentre molti ex combattenti e veterani congedati con disprezzo hanno finito per ingorssare i ranghi degli islamisti. I bombardamenti della coalizione anti-ISIS sembrano riuscire a far ben poco - o voler far poco? Lo stesso articolo evidenzia come, fuori dai canali ufficiali, esponenti della gerarchia militare temano di scontentare gli alleati del Golfo e di favorire lo sciismo nello scontro settario che da sempre dilania il mondo musulmano. Conseguenza: bombardare il minimo necessario a rallentare un po' l'avanzata dei jihadisti.

Infine, va rammentato un rapporto recentemente declassificato dei servizi segreti del Pentagono, risalente all'agosto 2012, in cui già si prevedeva e convalidava la creazione di uno Stato islamico fondamentalista a cavallo tra Siria e Iraq. Uno scenario ben accetto, con cui gli Stati Uniti volevano sbarazzarsi di Assad e magari - aggiungo - della presenza navale russa nel Mediterraneo costituita dalla base di Tarsus. Come poi le cose siano andate è purtroppo sotto gli occhi di tutti.

Foto: Tonio Vega/Flickr

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