• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > L’Islam non è solo veli e barbe

L’Islam non è solo veli e barbe

Un articolo pubblicato su Agoravox propone una riflessione su due fatti che interessano da vicino il nostro mondo.

Il primo è che la vecchia Europa, patria dei diritti civili, tende spesso e con molta leggerezza a violarli con buona facilità dopo averli seriosamente e pomposamente sanciti (ma questo lo sapevamo già e, molto spesso, a nostre spese).

Il secondo punto è che la robusta minoranza islamica che vive tra noi è semplicemente una sconosciuta. Scrive l’autore: “La maggior parte di coloro che esprimono giudizi sulle persone di fede islamica non sa quasi nulla sulla loro cultura, la religione e le abitudini”.

Sappiamo tutti che è vero e sappiamo tutti di non sapere, ma alla fine ci accontentiamo di una buona dose di luoghi comuni e andiamo avanti così. Ce ne dà un’ulteriore conferma un’intervista di Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa, a Khaled Fouad Allam, sociologo algerino naturalizzato italiano e docente di islamistica. Già il titolo è emblematico: “Islam-Cristianesimo, la nuova guerra fredda”. Tanto perché il buon giorno si veda dal mattino.

Che la scarsa conoscenza sia alla base della paura e del sospetto sul “diverso” è l’incipit dell’intervista e, nello stesso tempo, la più scontata delle affermazioni. Ma “scontata” non vuole dire né che sia falsa né che sia inutile. Tuttaltro, sarebbe da ricordarsene ogni giorno, caso mai. La paura del diverso nasce dalla non conoscenza e la non conoscenza nasce dal ritenere l’altro... non conoscibile ? Non è vero, naturalmente, a meno che non ci sia qualcuno che non vuole che ‘l’altro’ sia conoscibile.

Il parallelo va, e anche questo è un po’ scontato, ai luoghi comuni sugli ebrei a cavallo tra otto e novecento, tanto per ripassare un po’ di storia. E si sa come è finita. Con uno sterminio di proporzioni immani fra ali di folle plaudenti e gang di ragazzotti entusiasti che si affollavano a rinfoltire le schiere degli sterminatori, come il “buon” vecchio Günther Grass, recentemente osannato da tutti quelli con la memoria (volutamente) corta, pronti a giurare che un ex-SS che si è ravveduto è ottimo come maestro di etica per le sue vecchie vittime.

L’intervista a Fouad Allam è interessante intanto perché rispolvera - criticandola - la famosa ipotesi di uno “scontro delle civiltà” come prevedibile panorama mondiale in sostituzione del vecchio bipolarismo USA-URSS dopo il collasso della potenza sovietica. La tesi - grossomodo - sosteneva che i conflitti prossimi venturi (il testo di Samuel Huntington è del 1993) si sarebbero sviluppati lungo linee di confine segnate dalle differenze cultural-religiose (ne enumera nove) anziché su quelle di tipo ideologico, e che l’Occidente con la sua cultura non avrebbe potuto ergersi a unica (e superiore) civiltà, al contrario "la convinzione occidentale dell'universalità della propria cultura comporta tre problemi: è falsa, è immorale, è pericolosa (...) l'imperialismo è la conseguenza logica e necessaria dell'universalismo".

Su questa base vedeva un superamento degli scontri fra stati nazionali e la loro sostituzione da parte di macro-entità culturali, in particolare uno scontro tra civiltà occidentale ed islamismo. Potremmo aggiungere che si tratta di uno scontro fra 'universalismi' dal momento che sia l'una che l'altra si fondano su religioni che dell'universalismo hanno fatto la loro ragion d'essere.

L’Islam, notoriamente, presenta le problematiche più stringenti sia per il numero davvero notevole di persone di cultura islamica che sono immigrate o che tentano di immigrare in occidente, sia per l’atavica conflittualità che divide il mondo musulmano da quello cristiano.

Colonialismo a parte, la storia recente è nota a tutti. Attentati, guerre, occupazioni, di nuovo attentati in un susseguirsi caotico e drammatico di violenze. Non irrilevante la questione israelo-palestinese che sembra essere l’innesco di ogni scontro (almeno mentale) e che forse, proprio per questo, non è mai stata volutamente (da una parte e dall’altra) disinnescata.

Fa parte dell'attualità - anche se meno vistosa degli aspetti conflittuali, ma incomparabilmente positiva - anche la massa di persone che pacificamente arriva nei paesi europei per lavorare, costruirsi un futuro e, contemporaneamente, garantire a quegli stessi paesi le forze fresche (e volonterose) capaci di tenere in attivo la bilancia degli enti previdenziali e di fare quei lavori, spesso faticosi e non specializzati, che i giovani occidentali non vogliono più fare.

Naturalmente, fa notare Allam, mentre il cristianesimo ha avuto un centro dirigenziale nella gerarchia ecclesiastica, un centro che disponeva non solo dei dogmi religiosi, ma anche delle direttive politiche dell’intero mondo cristiano (vedi le crociate), l’Islam non ha mai avuto un cuore dogmatico di riferimento, anche se oggi, almeno nelle frange più radicali, “vi è preponderante il ruolo della norma giuridico religiosa, la sharia (...) ciò che è permesso e ciò che non è permesso. Ed è per questo che la sfera comportamentale anche a livello fisico, la prassi, diventa la stessa parabola dell'islamismo, il velo per le donne, la barba per gli uomini...”.

A parte questo è ovvio il problema che essere musulmani all’interno di un paese occidentale significa essere minoranza in casa d’altri, cosa che gli ebrei hanno vissuto per venti secoli e pagato molto duramente, ma che rappresenta una novità assoluta per le genti islamiche, cui non è facile adattarsi. L’orgoglio islamico e la certezza di avere la verità (teologica) in tasca mal si concilia con l’arroganza degli indigeni cristiani che la verità in tasca sono convinti di averla loro fin dai tempi del figlio di Dio in persona (scusate se è poco) e che nel cammino trionfante, almeno fino a ieri, della civiltà occidentale hanno visto la conferma di una superiorità derivante da quel pensiero filosofico greco, ritenuto - ampiamente a torto - il faro dell’umanità.

Insomma, tutto sembra ridursi a quelle stesse cose, cose minimali, come il velo e la barba, per le quali l’Islam è guardato con sospetto nel nostro mondo. Si potrebbero aggiungere altri temi come la mancanza di libertà delle donne o dei diritti civili nel mondo dominato dalla sharia e avremmo il bel quadretto che una qualsiasi massaia nostrana potrebbe paventare. Ma non solo in casa nostra: per il 44% dei francesi i musulmani minacciano l’identità nazionale e lo stesso per il 43% dei tedeschi.

In conclusione, come sostiene Allam, “c'è un muro virtuale nelle nostre teste e questo è forse ancora più pericoloso" del muro di Berlino.

C’è da stupirsi se in Ungheria è al governo il peggior partito razzista dal dopoguerra ? E se in così tanti paesi europei si sentono spifferi da brividi ? C’è da stupirsi se Marine Le Pen in Francia ottiene un risultato elettorale indiscutibilmente notevole, pescando a piene mani anche in bacini elettorali tradizionalmente di sinistra ?

La gestione dell’immigrazione - e soprattutto di un’immigrazione dai connotati culturali così diversi - pretende un “sistema” capace di sapere, conoscere, pensare, elaborare strategie. Un sistema che sia culturale e sociale, non solo politico ed economico.

Le risposte che possono derivare da politiche "antisistema" usano la non-conoscenza per veicolare frasi fatte e aria fritta. Facili da vendere (e con profitto, magari a vantaggio di quei partiti che poi usano i soldi pubblici per comprarsi diamanti e ristrutturarsi le case) ma impossibili da usare, se non a prezzo di sangue umano.

Alla fine, che cosa sappiamo, barbe e veli a parte, della verità dell’Islam ? Praticamente niente. Come niente si sapeva degli ebrei nel nefasto periodo fra metà ottocento e metà novecento. Allora finì in tragedia; oggi forse abbiamo qualche strumento in più per rimboccarci le maniche e cercare di capire questo “altro” che vive tra noi.

Per evitare che una qualsiasi LePen di casa nostra continui a sbavare insostenibili stupidaggini sui veli e sulle barbe, dipingendoli ai nostri occhi come l'indiscutibile veste del demoniaco prossimo venturo.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares