• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > VIDEO TV > Musica > Johnny Winter, maestro leggendario della chitarra elettrica

Johnny Winter, maestro leggendario della chitarra elettrica

Fin dalle origini di questo genere musicale la chitarra è sempre stata lo strumento principe del blues.

I maggiori interpreti e autori della c.d. ‘musica del diavolo’, quella delle origini, (tra essi Leadbelly, scoperto dall’etnomusicologo Alan Lomax in un penitenziario della Louisiana e Robert Johnson, la massima espressione del blues tipico della zona del delta del fiume Mississipi) erano infatti chitarristi. Con il passare del tempo nell’ambito delle orchestre di blues e di jazz si fece sempre più sentita la necessità di disporre di uno strumento che avesse le caratteristiche timbriche e sonore di una normale chitarra acustica, ma il cui volume fosse sufficientemente alto da non farsi sovrastare da quello degli altri strumenti del complesso. Iniziarono così, intorno agli anni Venti del secolo scorso, le prime sperimentazioni finalizzate alla riproduzione elettrica dei suoni generati dalle corde dello strumento. Nel 1935 la Gibson iniziò a produrre il modello di chitarra elettrificata ES 150: era uno strumento dotato di cassa di risonanza che attraverso un unico rilevatore elettromagnetico aveva la capacità di riprodurre le vibrazioni delle corde sottoforma di impulsi elettrici. Si avvicendarono e cominciarono ad essere utilizzati, a partire dagli anni Quaranta i primi rudimentali e poi via via sempre più evoluti e rimasti leggendari modelli di chitarra elettrica creati da Les Paul, Fender e Gibson. Il resto è storia dei nostri giorni, con tutte le evoluzioni tecnologiche del caso.

In tempi più vicini a noi il Jazz e il Blues hanno conosciuto straordinari strumentisti virtuosi della chitarra, oltre a quelli citati, la cui tecnica ha influenzato notevolmente anche la vasta pletora dei chitarristi che appartengono all’area della rock music. La chitarra elettrica inoltre è diventata uno strumento irrinunciabile adatto alla esecuzione di quasi tutti i generi musicali. Una conferma sia pure indiretta di ciò arriva da Stefan Grossman, maestro della chitarra folk-blues dei nostri giorni, che sostiene che i chitarristi del blues classico contribuirono in modo determinante a creare un modo americano di suonare la chitarra [1].

E’ facile e d’obbligo, a questo punto, pensare a personaggi della levatura di BB King, Muddy Waters, Albert Collins, Bo Diddley, John Lee Hooker, Albert King, Lightning Hopkins e molti altri bluesmen della generazione mediana e a musicisti più giovani, molti dei quali ancora in attività, che hanno raccolto l’eredità delle precedenti leve di bluesmen ampliando e nobilitando le potenzialità espressive del loro strumento trasfondendone tutte le caratteristiche sonore nell’ambito del blues elettrico, del rock e della popular music in genere. Viene spontaneo richiamare almeno i nomi di Chuck Berry, Keith Richards, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Duane Allman, Alvin Lee, Jimmy Page, Steve Ray Vaughan e Johnny Winter.

Proprio Winter ha costruito fin dalla fine degli anni Sessanta la sua fama di talentuoso chitarrista applicando al suo strumento la tecnica del bottleneck, tipica del blues del delta. Egli è uno dei non tantissimi virtuosi della chitarra elettrica che ha calcato i palcoscenici dei festival di blues fino ai settanta anni in modo più che dignitoso (Winter, originalissimo protagonista dell’universo pop, è stato ritrovato privo di vita in una stanza d’albergo a Zurigo; le cause della morte, avvenuta appunto a settant’anni, non sono state rivelate). Johnny Winter ha costituito per lungo tempo un esempio raro di autentico bluesman. E analogamente a quanto succede a molti bluesman e a un grande numero di stars del rock, fin dai suoi primi esordi Johnny Winter ha vissuto in modo particolarmente doloroso i propri travagli esistenziali, uno stile di vita sregolato e, per alcuni anni all’inizio dei Settanta, la predilezione per l’uso abituale di eroina. Talvolta ingiustamente sottovalutato o, peggio, dato per artisticamente finito, e da altri, per altro verso, considerato come successore di Hendrix, in realtà Winter non ebbe mai la ‘verve’ innovativa e l’ eccletismo musicale hendrixiano anche se si è sempre distinto per la potente espressività e per la genuinità e la assoluta riconoscibilità della sua voce spiccatamente ‘nera’ e per essere uno dei più virtuosi interpreti, in versione prettamente elettrica, del blues delle origini, circostanza, questa, tanto più eccezionale se si considera che Winter, affetto da albinismo per giunta, è di razza bianca.

Johnny amava raccontare una simpatica storiella: There’s a famous story about a time in 1962 when Johnny and his brother went to see B.B. King at a Beaumont club called the Raven. The only whites in the crowd, they no doubt stood out. But Johnny already had his chops down and wanted to play with the revered B.B. ”I was about 17,” Johnny remembers, ‘and B.B. didn’t want to let me on stage at first. He asked me for a union card, and I had one. Also I kept sending people over to ask him to let me play. Finally, he decided that there enough people who wanted to hear me that, no matter if I was good or not, it would be worth it to let me on stage. He gave me his guitar and let me play. I got standing ovation, and he took his guitar back!’ [2].

Texano di nascita, le braccia, ossute come tutto il resto del corpo, bizzarramente coperte di tatoos, dita lunghe e affusolate, Winter ha pubblicato un incredibile numero di dischi (negli ultimi tempi era tornato relativamente in auge con l’uscita dei diversi volumi della Bootleg series, una serie di dischi dal vivo dove è possibile ascoltare un blues che riduttivamente possiamo definire ‘incendiario’) ha svolto una carriera musicale assolutamente eccezionale, avendo suonato con i più grandi del genere blues e rock (per citarne solo alcuni, Sonny Terry, B.B. King, Muddy Waters, Allman Brothers, Jimi Hendrix). Egli stesso ha dichiarato di aver subito, come musicista e interprete, le influenze di Chuck Berry, Elvis Presley e della scuola Blues di Chicago. Nel corso della sua carriera Winter ha mostrato a più riprese di essere particolarmente vulnerabile rispetto ai meccanismi alienanti e alle circostanze insidiose e nevrotizzanti che ricorrono spesso nel mondo dello spettacolo e che in modo particolare caratterizzano gli ambienti del rock business. La tossicodipendenza e, dicono alcuni, i suoi ritiri periodici e gli intervalli di silenzio artistico ad Austin,Texas, testimoniano il disagio sperimentato dal musicista americano e la sua assoluta intolleranza nei confronti dell’universo solo apparentemente dorato della musica pop. Negli ultimi anni il texano poteva esibirsi in concerto solo da seduto a causa, dicono, e ciò appare del tutto verosimile, degli eccessi che negli anni della giovinezza egli inflisse al suo corpo. Questo significa che pur continuando Winter a rimanere (anche e soprattutto nella dimensione live) uno dei più straordinari interpreti che il blues di tutti i tempi abbia mai conosciuto, non lo si vedeva più interpretare, non ai livelli scenici di una volta, almeno, alcune delle canzoni con cui era solito, negli anni Settanta, infiammare le platee ai suoi concerti, tra tutte la dylaniana Highway 61 revisited e Jumpin’ Jack Flash degli Stones

So long, Mr. Winter!

 

 [1] Stefan Grossman, Il manuale del Blues, Antrophos, Roma 1981, pp.9-10. Grossman racconta: “Personalmente, negli ultimi anni ho avuto la fortuna di vivere accanto ed imparare da Rev.Gary Davis, Mississippi John Hurt, Son House, Skip James, Fred Mc Dowell e Mance Lipscomb. Questi uomini mi hanno pazientemente spiegato la loro musica nei termini della loro vita e dei loro tempi, così altri musicisti che erano per me solo dei nomi su vecchi dischi a 78 giri si sono poi rivelati come persone reali. Tutti questi musicisti hanno contribuito alla creazione di uno stile chitarristico prettamente americano”.

 [2] Traduzione: Esiste una storia di quando nel 1962 Johnny e suo fratello andarono a vedere B.B. King a Beaumont (città natale di Winter, nello stato del Texas, n.d.r.) in un club chiamato Raven. Erano gli unici bianchi della folla e indubbiamente risaltavano. Johnny si fece largo tra la folla e chiese di suonare con il venerato B.B.. “Avevo circa 17 anni”, ricorda Johnny, “e all’inizio B.B. non voleva che io stessi sul palco. Mi chiese la tessera del sindacato e l’avevo. Mi rivolsi anche al pubblico perché chiedesse a B.B. di farmi suonare. Finalmente lui decise che c’erano abbastanza persone che pensavano che meritassi di stare sul palco. B.B. mi diede la sua chitarra e mi lasciò suonare. Suscitai applausi a scena aperta, poi lui riprese la sua chitarra!”.

 

Foto: Wikipedia

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità