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JP Morgan, quei due miliardi persi e il mito del too big to fail

Probabilmente la perdita riportata da JP Morgan finirà per essere molto più grande rispetto ai due miliardi dichiarati sui giornali. In ogni caso rappresenta l'ennesima prova dell'incapacità del mercato di autoregolarsi, in barba alle proprietà salvifiche della "mano invisibile" teorizzata da Adam Smith. L'ennesimo sfacelo di quella "deregulation" che avrebbe dovuto essere la molla dell'economia e invece si è rivelata la sua scure.

L'Huffington Post, in un articolo che analizza le (altre) perdite sui derivati riportate dall'istituto, afferma:

The U.S. can count on JPMorgan to continue both long and short market manipulation and take its winnings and losses from blind gambles. Shareholders, taxpayers, and consumers will foot the bill for any unpleasant global consequences.

Non solo. Questa analisi della Reuters osserva che il rovescio da due miliardi è il risultato, forse inevitabile, dell'interazione delle due politiche adottate per mettere una pezza al sistema finanziario americano dopo il disastro del 2008: quella del too big to fail, da un lato; e quella del denaro alle banche a costo zero, dall'altro:

Too big to fail, the de facto insurance provided by the U.S. to financial institutions so big their failure would be disastrous, provides JP Morgan and its peers with a material advantage in funding and as counterparties. Depositors see it as an advantage, as do bondholders and other lenders. That leaves TBTF banks flush with cash.
At the same time, ultra-low interest rates make the traditional business of banks less attractive, naturally leading to a push to make money elsewhere. With interest rates virtually nothing at the short end but not terribly higher three, five or even 10 years out, net interest margins, once the lifeblood of large money center banks, are disappointingly thin. Given that investors are rightly dubious about the quality of bank earnings, and thus unwilling to attach large equity market multiples to them, this puts even more pressure on managers to look elsewhere for profits. [si veda qui]

Per avere un'idea di JP Morgan, è bene ricordare che:

  • Ha avanzato, assieme a Goldman Sachs, una proposta di regolamentazione degli strumenti derivati, salvo poi affossare ogni concreta possibilità di riforma;

Manca qualcosa? Ah, si. Benché sia "troppo grande", può plausibilmente fallire.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.136) 22 maggio 2012 10:22
    Damiano Mazzotti

    In realtà Adam Smith andrebbe riletto per scoprire che già ai suoi tempo c’era chi si inventava nuovi modi di creare denaro dal nulla: il mercato delle tratte (accordi e promesse di pagamento tra gente ricca e banchieri) divento una bolla che non tardò a scoppiare facendo collassare molte banche e l’istituto che doveva salvarle che fece da parafulmine "semipubblico".

    E Adam Smith non era egoista o scemo e aveva capito che per far girare l’economia i soldi li devono spendere i ricchi. Ed è gravoso, dannoso e controproducente concentrare la tassazione sui ceti medio bassi (La Ricchezza delle Nazioni, pag. 1070, Utet).

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.136) 22 maggio 2012 12:08
    Damiano Mazzotti

    In realtà ogni crisi economica-finanziaria e causata da tre fattori principali: 1) La falsa moneta che risucchia le vera moneta; 2) L’eccesso di produzione dovuta anche alle grandi società che monopolizzano i mercati e frenano l’innovazione; 3) La concentrazione della ricchezza e dei guadagni derivanti dagli aumenti di produttività tecnologici, che invece di essere ridistribuiti anche ai produttori ed essere così spesi nell’economia reale, vengono capitalizzati e reinvestiti in falsa moneta da parte di manager e capitalisti del breve termine.

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