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Istruire lo spettatore: suggeritori in cambio di pensiero

Una generazione di comunità informatica ha dato vita al mezzo mediatico come grande supporto della belle époque del tecnicolor. Ora che internet è assurto a strumento per scardinare la televisione come “strumento di dominio delle masse”, tale gioiosa comunità ha applaudito alla liberazione. Liberazione da cosa però?

È proprio l'applauso il punto. "L’applauso loda una performance, conferma un sentimento collettivo, ma anche individuale; l’applauso è capace di sostituire le parole nei momenti di forte emozione; raccoglie la commozione di una opinione che incontra il consenso di molti. Si battono le mani a personaggi famosi, ai soldati morti nelle missioni militari, ai cantanti, ai compleanni" secondo l'analisi di Yasmine Ferrero Varsino. Una spontaneità manipolata: "Oggi nei talk show è la regia a decidere quando applaudire, caricando l’emozione di una testimonianza con un applauso, spesso togliendo allo spettatore l’opportunità di scegliere se commuoversi o dissentire, inducendo ad una inesorabile pigrizia intellettuale, che sfocia in un imbecillimento collettivo".

È quindi la televisione dell'onda collettiva, quella secondo la quale il luogo migliore verso cui muoversi è quello dove tutti si dirigono. Ma ne siamo liberi, no? Non siamo noi la società del globo interattivo, inerpicato sulle sue reti comunicative che scavalcano confini e barriere? Al movimento per l'interazione costruito tramite l'utilizzo della rete la televisione non si è però mostrata restia. Anzi, molti programmi si sono mossi a difensori della bella gioventù di modem armata, in una piccola cerchia di predicatori e paladini della libertà d'espressione che poco ha di democratico, e ancor meno di intellettuale.

Perché bene o male - sottovoce visto che dalla televisione ci si è liberati - continuiamo a vedercela con essa. O meglio, con una programmazione epurata dei "signori della mezzanotte", quelli che tanto non se li guarda nessuno, anche se mettono sù grosse inchieste sugli anni di piombo, oppure scoprono una realtà inedita difficilmente accettabile dallo spettatore che in poltrona - in simpsoniana memoria- non vuole altro che la stessa cosa ripetuta fino alla nausea. E che quindi sarebbero ad esso inviso, perché ne rivelerebbe la gretta visione del mondo di un paese senza estero (che non appare quasi mai su tg, giornali e tribune pubbliche). Ci riferiamo a La Storia siamo noi e La7 doc, messi elegantemente in disparte. E dire che si poteva evitare di avere di nuovo in televisione miss Gruber oppure uno dei tanti sorridenti talk dove nulla succede se non l'umiliazione su pubblica piazza del mostro di turno.

Finché si tratta di estradare verso i confini dell'intrattenimento chi un apporto poi lo sta dando veramente nulla di strano. L'editto bulgaro sta lì a testimoniarlo. C'è però di più. Perché se a manipolare l'opinione pubblica sono le censure degli angoli più acuminati del pensiero, riportandolo ad una massa informe di pensieri conformi, allora poco di nuovo. Quando invece sono proprio i suddetti paladini a rimodulare il complesso di sensazioni che il pubblico dovrebbe liberamente ricavare da ciò che il mezzo televisivo propone, allora qualcosa che non va, qualcosa di serio, c'è.

Il pubblico in sala è una presenza influente. "Questa presenza ha la funzione trasformare il pubblico a casa in pubblico in studio incoraggiando un'attività silenziosa e quasi inconscia di proiezione e identificazione. La scelta di rappresentare il pubblico a casa attraverso il pubblico in studio è infatti un passaggio intermedio grazie al quale gli autori di un programma assolvono al compito di istruire (anche emotivamente) chi sta a casa sulle sensazioni e sulle reazioni che deve avere e provare rispetto a ciò che accade in studio." E sono anche i programmi che si propongono come uno spazio libero all'interno del sistema mediatico a farne uso. È un'analisi di Voce Arancio a studiare il fenomeno ad ampio raggio:

"Lo studio delle Iene accoglie 120 persone e non si fanno sconti sull’età dei partecipanti, massimo 40 anni, ammesso qualche raro 60enne che rimane fuori dall’occhio della telecamera. Il direttore di Italia 1 Tiraboschi è inflessibile: alla prima puntata del Bivio fece cambiare la disposizione del pubblico perché non gli piaceva. [...] Ad Annozero i partecipanti, circa 130, sono più selezionati: una trentina di persone multietniche, la maggior parte universitari, pochi con i capelli bianchi, comunque tenuti lontani dalle prime file. Per assistere a Che tempo che fa di Fabio Fazio non ci sono limiti di età, ma bisogna essere molto attenti ai colori dell’abbigliamento: assolutamente vietato il viola, gli addetti alla sartoria sono sempre pronti a sostituire i capi indesiderati".

Solamente una selezione? Assolutamente no. Se dessimo un'occhiata più approfondita alle aperture del programma Le Iene potremmo vedere di fronte al pubblico un signore molto impegnato: il suo compito è istruire il pubblico su cosa provare e cosa far provare alla società. È un istruttore di programmazione al sentimento spontaneo, una manipolazione atroce e un colpo mortale al modo di intendere una televisione capace di permettere allo spettatore di formarsi una propria opinione indipendente. Se a farlo è un programma che fonda la propria attività sull'idea di scoprire il vero anche dietro il potere, allora qualche problemino c'è. E che lo faccia nel mentre di una puntata straordinaria come quella del 20 gennaio è un peccato a dir poco mortale. Di fronte alla storia di Sara di domenica scorsa nessun suggeritore è necessità di spettacolo. Allora cosa sono - sarebbe da chiedere proprio a Nadia Toffa, che ha realizzato il servizio - necessità per lo spettatore o per coloro che ne hanno bisogno per sentire di meritare comunque il proprio posto? Di fronte a questo interrogativo potremmo forse allora essere daccordo con Ennio Flaiano, citato proprio da Voce Arancio: "L’applauso è diventato parte dello spettacolo... Sottolinea l’ingresso di un personaggio, lo toglie d’imbarazzo se deve andarsene, lo incoraggia se è timido, lo premia se è spavaldo, lo perdona se è un cane".

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