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Israele: le politiche anti-immigrazione del governo Netanyahou

A Tel Aviv sono numerosissimi gli immigrati provenienti dall'Europa dell'est, dall'Africa, e dall'Asia; sono così numerosi da spingere alcuni esponenti del partito nazionalista liberale e di centro destra Likud, a parlare di un vero e proprio "cancro da estirpare" (Miri Reguev, ex portavoce dell'esercito) e di "nemici infiltrati" (Dani Danon, esponente del partito Likud).

Nel giugno 2012, mese che segna la prima fase delle manovre politiche che porteranno all'aspra lotta all'immigrazione, ecco come commenta il Primo ministro israeliano Benyamin Netanyahou:

"In Israele si contano 60mila clandestini, ma se non facciamo niente saranno ben presto 600mila. Questo fenomeno è estremamente grave e minaccia le fondamenta della società israeliana, la sicurezza e l'identità nazionale". 

Tali constatazioni allarmiste hanno portato le autorità di Tel Aviv ad adottare misure straordinarie senza precedenti per mettere fine all'ondata di clandestini, in fuga dalla miseria e dalla guerra. Gran parte di essi, infatti, viene dall'Afirca subsahariana, definita proprio qualche giorno fa da Il Fatto Quotidiano, la più grande fabbrica di guerre al mondo, tanto che: "Secondo il rapporto "Barometro 2013" i conflitti armati limitati e totali sono 18". Parliamo quindi della difficilissima situazione geopolitica che investe: Sudan, Egitto, Eritrea e altre aree del Centrafrica.

Le ultime leggi sull'immigrazione, proposte dal Primo ministro lo scorso dicembre, hanno suscitato la rabbia e lo sdegno di molteplici associazioni volte alla difesa e alla salvaguardia dei diritti dell'uomo. Il punto cruciale del piano anti-immigrazione messo a punto dall'attuale governo israeliano riguarda la costruzione dei centri d'accoglienza, che hanno in realtà l'aspetto di centri di detenzione. E come se non bastasse le forze dell'ordine israeliane sono autorizzate a detenere i clandestini in questi centri anche per un anno intero, senza che essi possano subire un regolare processo.

È per tale ragione che 300mila clandestini hanno manifestato lo scorso gennaio nella piazza di Tel Aviv, dando vita a quella che è stata definita da Louba Samri, portavoce della polizia israeliana, come la più grande manifestazione mai avvenuta nel paese. 

Riuniti nella piazza di Yitzhak Rabin, i manifestanti hanno denunciato il rifiuto delle autorità israeliane di visionare le richieste d'asilo da loro presentate. "Sì alla libertà, no alla prigione!" è stato il motto che si è alzato all'unisono in tutta la piazza.

Purtroppo da quel giorno non è cambiato nulla. Ed ecco che negli scorsi giorni arriva l'ennesima dimostrazione d'intolleranza da parte del governo verso i clandestini subsahariani. Ma questa volta ad essere colpiti dalla politica discriminatoria incalzante nel paese sono ragazzi e bambini della scuola di Bialik-Rogozin, a sud di Tel Aviv. 

Questa struttura ospiata circa 970 studenti di età compresa tra il 5 e i 18 anni, originari di 51 paesi diversi. Circa il 5% di questi studenti sono rifugiati, mentre ben il 15% attende di essere respinto nel paese d'origine. Dopo le manifestazioni di gennaio già 35 studenti sono stati espulsi dalla scuola.

Episodi come questi hanno portato Israele ad essere considerata il secondo paese meno egualitario dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Questo significa che Israele è uno di quei paesi che non riesce a garantire l'uguaglianza dei diritti e delle opportunità ai cittadini sia in ambito economico, che in ambito politico e sociale, e nella maggior parte dei casi ne deriva una mancata applicazione dei fondamentali diritti dell'uomo

E proprio come accade in molti altri paesi, tantissimi settori vivono parodossalmente grazie all'incessante lavoro di questi "clandestini", ai quali sono affidate le mansioni più faticose, come è avvenuto nel settore agricolo o edilizio. 

Molti di loro arrivano con un permesso di soggiorno, ma alla scadenza di quest'ultimo non hanno possibilità di rinnovo ed ecco che diventano clandestini della stessa terra che nutrono. Ad oggi, secondo lo studioso del Medio Oriente e della cultura islamica Sherif el Sebaie, su tutto il territorio Israeliano se ne contano circa 160mila.

 

Foto:may golan/Flickr

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