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Iran, il voto temuto e contestato

Partecipare alle elezioni è un dovere aveva annunciato a inizio anno Ali Khamenei. Anche per questo gli iraniani che lo odiano diserteranno le urne che si stanno approntando per le consultazioni politiche del 1° marzo. 

Così potrebbe finire con percentuali ancora più basse di quelle registrate nel 2020 (35% di partecipanti, addirittura sotto il 20% nella capitale), inficiate più che dalla pandemia di Covid dal malcontento socio-economico già apparso nel 2019 con proteste di strada contro il carovita. Il governo ricorda il soffocante embargo occidentale cui è sottoposto da lungo tempo – realtà incontrovertibile – ma la gente ce l’ha con chi con una crisi economica con un’inflazione al 40% e una disoccupazione giovanile al 25%, resta comunque protetto. Polizia e militari di carriera e più d’ogni altro i Pasdaran, Stato nello Stato, temuto anche dal clero, per la fregola che in epoca della presidenza laica di Ahmadinejad, pensava quasi di far a meno degli ayatollah. Prevalse un compromesso e un accordo, così da tornare in linea col khomeinismo armato degli albori della Repubblica islamica. Eppure l’iraniano medio, in gran parte urbanizzato e tendenzialmente giovane, negli ultimi anni s’è ritrovato a dire “Né per Gaza né per il Libano, la mia vita solo per l’Iran“. Voleva sottolineare come l’impegno militare rivolto agli alleati Hezbollah sui confini caldi con Israele o a favore di Asad nel sanguinoso conflitto siriano dissipava risorse che in patria avrebbero potuto sostenere bisogni anche primari davanti a un pauroso buco finanziario, cui non sopperiscono le pur importanti risorse energetiche. Certo, da cinque mesi Gaza è a metà fra il lazzaretto e il cimitero, e soprattutto la geopolitica mondiale puntando il dito contro Hamas lo dirige contro Teheran che ne sarebbe l’ispiratore occulto. Gli analisti ancora discutono se nel rinnovato ‘Asse della Resistenza’ a trazione sciita, con amicizie fra i giganti cinese e russo, Teheran abbia dato l’assenso all’operazione del 7 ottobre oppure l’abbia solamente appresa e subìta. Di fatto gli uomini-simbolo del sistema degli ayatollah, Khamenei e Raisi, mostrano di optare per un basso profilo internazionale anche quando gli ammazzano figure di rango come Razi Mousavi, che non era un Soleimani ma rappresentava quel corpo (i Guardiani della Rivoluzione) che fanno guerra e politica e vanno tenuti in massima considerazione.

 

Perciò, la coppia della conservazione, sta limitando l’impatto bellico anche perché teme quel fronte interno che dal settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, per mesi è sceso in strada, rischiando la vita e morendo. La protesta è gradualmente scemata, però non s’è spenta. E’ passata dal rifiuto del velo femminile al malcontento di ragazzi istruiti che pretendono un futuro adeguato alle aspettative di chi vive nel Terzo Millennio, ragazzi che possono pregare o meno ma non sopportano la cappa del velayat-e faqih, forzatura khomeinista contestata al momento dell’introduzione anche da taluni marja’ al taqlid come Montazeri. L’affievolirsi di gesti clamorosi ha fatto chiudere un poco gli occhi alla polizia morale davanti a chiome fluenti e libere che tuttora vagano nella capitale. Che è un pezzo dell’Iran, non è il Paese intero. Mentre un pezzo di nazione e il suo orgoglio stanno con l’istituzione che lo rappresenta, Pasdaran compresi, davanti ai pericoli sempre presenti di complotti antinazionali, condotti dall’Isis-Khorasan come nel Belucistan o dal Mossad quando si tratta di far fuori gli ingegneri dell’orgoglio nucleare. Davanti alle accuse degli oppositori, interni e ai tanti della diaspora, che nel Paese comunque si muore per mano del boia (nell’anno appena concluso sono state conteggiate oltre ottocento pene capitali), i due richiami al voto per i 290 seggi al Majles e gli 88 all’Assemblea degli Esperti, i secondi contano molto di più. Perché saranno quest’ultimi a compiere un passo storico: eleggere il successore di Khamenei, pluri ottuagenario malandato e dato più volte per spacciato eppure ancora vigile e deliberante. Dovesse proseguire il suo percorso ne avrebbe 93 alla prossima elezione, dunque per il clero sarebbe utile avere un ricambio. Si vocifera che la nuova Guida potrebbe essere proprio Raisi (alle presidenziali si vota l’anno prossimo). O forse quel figlio di Khomeini che nel 2016 venne scartato. Per ora un altro ayatollah noto ha avuto la porta chiusa: l’ex presidente Rohani. Gli utraconservatori non ammettono presenze riformiste, e lui è stato addirittura additato quale amico, troppo amico dell’Occidente. Qualcuno ha osato dire spia. Insomma in questi giorni le migliaia di proposte di candidati al Parlamento sono state sfoltite dal Consiglio dei Guardiani, mentre ambiscono a entrare nell’Assemblea degli Esperti non più di 120 chierici di rango. La nomina del nuovo Rahbar può essere dietro l’angolo. La tenuta del regime è legata a più fili. 

 Enrico Campofreda

Foto Sima Ghaffarzadeh/Pexels

 

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