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Iran: il peso ambientale delle sanzioni economiche

di Giovanna Borrelli

Sono passati 9 mesi dai primi negoziati nucleari tra Iran e Paesi del 5+1 (USA, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, più Germania). Ma lunedì scorso, dopo la serie di incontri a Vienna, il segretario americano John Kerry e il presidente iraniano Hassan Rouhani hanno annunciato che le trattative andranno avanti fino a giugno 2015 nella speranza che si possa definire il piano dell’accordo entro i prossimi tre mesi. I punti che devono essere principalmente risolti sono lo stop all’arricchimento di uranio da parte di Teheran e la cancellazione delle sanzioni economiche imposte all’Iran, soprattutto quelle sull’export del petrolio.

Proprio per sfuggire alla stretta delle sanzioni economiche, in questi anni la Repubblica islamica ha adottato una politica aggressiva per rendersi energicamente indipendente.

Ma il potenziamento di misure alternative di produzione energetica non è stato privo di conseguenze, soprattutto a livello ambientale.

Secondo quanto scritto dal professor Kaveh Madani e dall’analista Nazanin Soroush su The Guardian, la situazione del Paese è disastrosa e, a livello globale, ancora non riceve la giusta considerazione.

Dopo il provvedimento imposto da Obama che prevedeva multe sull’esportazione di petrolio, l’Iran ha risposto con il potenziamento della raffinazione interna dell’oro nero, contribuendo così a incrementare quella che oggi è la maggior fonte dell’inquinamento atmosferico del Paese: i fumi industriali. Il petrolio iraniano, infatti, contiene contaminanti in quantità dieci volte superiori rispetto a quello importato, mentre il suo diesel contiene 800 volte più quantità di zolfo rispetto agli standard internazionali.

Ma sono anche altri gli esempi che possono dare dimostrazione della strategia di sviluppo adottata dall'Iran. Sotto la pressione causata dalla guerra del 1980-88 tra Iraq e Iran, dalle sanzioni economiche e dalla minaccia alla sicurezza alimentare il governo perseverò nello sviluppo delle infrastrutture idriche e nel mantenimento dei sussidi ai coltivatori. Questa ostinazione ha permesso oggi all'Iran di diventare il terzo più grande costruttore di dighe del mondo, risultato ottenuto però attraverso un eccessivo sfruttamento di riserve idriche sotterranee, causa di siccità dei maggiori torrenti e della distruzione delle paludi (proprio nello stesso Paese in cui nel 1971 fu firmata la Convenzione sulla conservazione delle paludi a Ramsar).

Nonostante gli ostacoli imposti dalla comunità internazionale, l'Iran ha continuato a esportare gas e petrolio, a costruire raffinerie e è riuscito a diventare uno dei più grande costruttori di dighe.

Le conseguenze ambientali di una tale corsa all'indipendenza energetica sono molteplici: come già detto, un drammatico aumento dell'inquinamento dell'aria, diminuzione delle risorse idriche, ma anche deforestazioni e desertificazione con notevole perdita di biodiversità.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riporta che sono ben quattro le città iraniane presenti nella classifica delle dieci città più inquinate del mondo. Ahwaz in Khuzestan (provincia confinante con l'Iran) è al primo posto, seguita subito dopo da Yasouj, città industriale iraniana. Fuori classifica invece Teheran, nonostante l'inquinamento dell'aria della città è responsabile del 25% delle morti e la situazione è così pericolosa che il parlamento sta addirittura pensando di spostare la capitale.

E la crisi idrica non desta minore preoccupazione. Laghi e fiumi si stanno prosciugando. Le paludi stanno scomparendo una dopo l'altra e la qualità dell'acqua è peggiorata in molte zone densamente popolate.

Alcune stime suggeriscono che già il 70% delle riserve idriche sotterranee sono state utilizzate e proprio la mancanza di quelle riserve potrebbe essere la prossima tragedia ambientale che l'Iran dovrà affrontare.

La rapida urbanizzazione, l'inquinamento industriale, lo smaltimento dei rifiuti, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, la deforestazione e l'erosione del suolo stanno incidendo significativamente sulla diversità biologica. Flora e fauna sono notevolmente danneggiate a causa della distruzione dei loro habitat naturali.

«Nonostante le sanzioni – scrivono ancora Kaveh Madani e Nazanin Soroush – non siano la causa diretta dell'inquinamento in Iran, la loro pressione sul governo ha esacerbato la situazione tanto da provocare effetti che influenzeranno la vita e la salute di molte future generazioni che sono di fatto estranee alle politiche nucleari e che potrebbero addirittura non nascere mai».

Il dibattito sulle sanzioni, come è scontato che sia, rimane sempre su un livello politico ed economico. Eppure, come il caso iraniano dimostra, questo tipo di provvedimenti e queste imposizioni hanno importanti ripercussioni sull'ambiente.

Per i due studiosi però, nonostante i recenti risvolti dell'accordo Usa-Cina sulle emissioni di CO², non c'è molta speranza che i negoziati sul nucleare e qualsiasi altro tipo di accordo tra i Paesi 5+1 possano includere qualche seria soluzione in materia di ambiente.

Non resta, allora, che rivolgere l'attenzione alla Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite che si tiene dal 1° al 12 Dicembre a Lima, dove i rappresentanti governativi di ben 190 Paesi si riuniranno in vista di un possibile accordo sul clima previsto nella successiva COP, quella di Parigi nel 2015.

@Borrelli_Gio

Crediti immagini:

Lake Orumiyeh, Iran - Foto: NASA's Earth Observatory/Flickr

Tehran pollution - Foto: Kamyar Adl /Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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