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Intesa Stato-Uaar: le reazioni sgangherate di Avvenire, Tempi e Giuliano Amato

Sabato abbiamo dato conto dell’importante sentenza della Cassazione sulla richiesta dell’Uaar di stipulare un’intesa con lo Stato. Nel pronunciamento la corte ha rigettato il ricorso del governo Monti e ha dato ragione al Consiglio di Stato, sostenendo che il giudice deve poter entrare nel merito della legittimità delle decisioni degli organi politici. Viene chiarito che il governo in assenza di leggi precise non può attuare comportamenti discrezionali in modo arbitrario, ma deve sempre giustificare i suoi atti.

Una sentenza che va ben al di là del nostro caso e delle questioni religiose, ma che rappresenta un importante passo nel campo della giurisprudenza italiana e nell’affermazione dei diritti dei cittadini: il governo deve rendere conto di ciò che fa e non può discriminare nascondendosi dietro la discrezionalità.

La palla torna al Tar del Lazio, che dovrà valutare la legittimità dell’azione del governo e dire se l’Uaar abbia diritto a un’intesa, come le confessioni religiose. La sentenza ha suscitato diverse reazioni, soprattutto da parte clericale, che non brillano per lucidità. Il malinteso più diffuso, veicolato anche da titoli a effetto, è che “gli atei diventano una Chiesa”. Non si capisce come un’associazione che si basa su tutt’altri principi, che si sostiene e cui ci si iscrive su base volontaria, che non si fonda su dogmi religiosi e professioni di fede e non pretende di essere sacra o in contatto con qualche divinità, che non promette magie o spaccia illusioni, possa essere etichettata come “chiesa”. 

Essere trattati con pari dignità non significa essere identici: sarebbe come dire che una coppia gay che si sposa diventa una coppia etero. O che aver riconosciuto i diritti negati ai neri li trasformò in bianchi. Il bollino da parte degli integralisti non sorprende, vista la difficoltà di uscire dal loro recinto mentale e vedere le cose da una prospettiva laica o pluralista: indicativo comunque che convengano nell’attribuire connotati pesantemente negativi a parole come “religione” o “chiesa”. Esistono, piuttosto, laici e non credenti che hanno un tabù - forse segno di una certa sudditanza verso la religione - per i quali qualsiasi realtà con un minimo di regole è una “chiesa”. Il discorso andrebbe casomai ribaltato: è la Chiesa che è un’aggregazione sociale come le altre, che pretende però di avere dei privilegi per la sua natura religiosa. E infatti ekklesia significa “assemblea” (come sinagoga, d’altronde).

In realtà, come spiegato da tempo, la richiesta di intesa è volta a riconoscere all’Uaar prerogative che in Italia hanno solo le confessioni religiose, per permetterle di tutelare su un piano di parità e in maniera effettiva i diritti di atei a agnostici e la laicità dello Stato. La questione centrale non è l’accesso all’otto per mille, cui si può scegliere di rinunciare in toto o per le scelte non espresse, come sintetizza (male) ad esempio Avvenire. Ma la polemica clericale, che nulla ha da ridire sul miliardo di euro che drena la Chiesa e sugli altri costi, batte senza vergogna su questo tasto.

Quello che ha sempre chiesto l’associazione ai vari governi è l’uguaglianza dei diritti, con la possibilità di trattare un’eventuale intesa. Del tema si è discusso anche nei congressi passati dell’Uaar, con posizioni differenti: il mandato ricevuto dalla maggioranza dei soci è quello di continuare a richiedere l’intesa e di indire un congresso straordinario nel caso si aprisse questa possibilità, per decidere se accedere all’otto per mille (nel remotissimo caso fosse concessa dalle istituzioni tale opzione). Come già chiariva nel 2007 l’ex segretario Giorgio Villella intervistato da Libero e come emerge dalle audizioni in Parlamento.

A chi contesta questa strategia o ci vede chissà quali doppi fini occorre ricordare che dirigenti e attivisti Uaar sono volontari non stipendiati e che l’associazione si è da sempre battuta, come dimostra la sua attività, proprio per eliminare i privilegi a favore delle religioni quali il Concordato (recentemente anche con una petizione) e l’otto per mille. Le condizioni politiche non aprono però spiragli credibili in tal senso: un modo realistico per intaccare il sistema è scombinarne gli equilibri dall’interno.

Centrale per l’associazione è piuttosto la possibilità di garantire ove richiesto, ad esempio, personale formato che possa fare assistenza morale non confessionale negli ospedali o celebrare matrimoni umanisti a valenza legale non in comune, o essere titolati a fornire assistenza legale nei casi di discriminazione in ambiti come scuola e lavoro. In alcuni paesi europei, come Belgio, Olanda, Germania, questa parificazione tra chiese e associazioni umaniste esiste già, sancita dalla Costituzione. Un trend diffuso, vista la sempre maggiore affermazione dei non credenti.

Il Trattato di Lisbona già riconosce che va garantita parità di trattamento sia alle chiese sia alle associazioni umaniste e che l’Unione europea deve dialogare con queste (come tra l’altro ribadito dall’Ombudsman che ha bacchettato la Commissione europea). In Italia invece scontiamo un multiconfessionalismo multilevel, che pone in una posizione di assoluto privilegio la Chiesa cattolica grazie al Concordato di derivazione fascista e con intese concesse a singole confessioni religiose con il contagocce, spesso con l’ostruzionismo dei clericali in Parlamento.

Su Il Corriere della Sera, sabato scorso, il giurista Francesco Margiotta Broglio ha affrontato la questione. A parte il finale ironico, segnala l’ultimo numero di MicroMega dedicato all’ateismo e riconosce comunque all’Uaar delle ragioni fondate. “Non si possono trascurare alcune esperienze di Paesi europei e i recenti sviluppi dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea”, fa notare. Come “le esperienze della Repubblica federale tedesca, dove alcuni lander hanno legiferato sulla base di intese con le Federazioni ateistiche dei Paesi Bassi che riconoscono il movimento umanista (e in quale caso lo finanziano alla pari di quelli religiosi) e del Belgio che riconosce il «Consiglio laico centrale» e assicura agli assistenti spirituali «filosofici» gli stipendi e pensioni garantiti al clero dei vari culti riconosciuti”.

Anche in sede europea l’art. 17 del Trattato di Lisbona parifica le “organizzazioni filosofiche e non confessionali” alle “chiese, associazioni o comunità religiose”: “riconoscendo”, aggiunge Margiotta Broglio, “di entrambe ‘l’identità e il contributo specifico’ e impegnando l’Unione a mantenere, con le une e le altre, il medesimo ‘dialogo aperto, trasparente e regolare’”. Non solo, ma la Carta dei diritti fondamentali della Ue e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo “assicura[no] alle organizzazioni degli atei e agnostici uno status e una dignità che mettono credenti e non credenti allo stesso livello di diritti anche collettivi e di garanzia contro ogni tipo di discriminazione, anche con riferimento ad eventuali regimi di ‘privilegio’”.

Non poteva mancare il commento di Avvenire, con l’articolo Paradosso Cassazione: gli atei? Vanno trattati come una religione, che non vuole cogliere il punto della questione. Tra parentesi, il giornale della Cei ha pubblicato anche due discutibili pezzi sulla scomparsa di Margherita Hack, uno in cui dimenticava che era atea, un altro in cui sosteneva che “aveva adattato il suo spiritaccio toscano agli standard dell’associazione, che purtroppo non si segnala per sottigliezza speculativa”. Verrebbe da dire, da che pulpito.

La morte della nota astrofisica ha dato il la agli integralisti, sul quotidiano dei vescovi e altrove, per mostrare la propria proverbiale sensibilità e sfogare risentimenti anche contro l’Uaar. Pure il ciellino Tempi l’ha strumentalizzata per dare addosso all’Uaar sull’intesa. Il livello degli attacchi è quel che è, si commenta da solo: indicativo comunque di una certa stizza dal mondo integralista, che intensifica le uscite sguaiate avendo storicamente scarsi argomenti. A proposito di Comunione e Liberazione, vale la pena di ricordare che pretende di non versare l’imposta sui suoi immobili, in quanto sostiene siano assimilabili a “luogo di culto”. Dopo anni di contenzioso, la doccia fredda: dovrà pagare. Niente privilegi clericali.

È sceso in campo per contestare l’Uaar anche Giuliano Amato: uno di quegli snob “aristo-laici” emblematico esempio di come la sudditanza verso il clericalismo da parte di non credenti sia deleteria almeno quanto l’integralismo religioso che si infiltra nelle istituzioni. Sul suo blog ricorda di essere stato “il primo a negoziare e concludere intese con confessioni acattoliche”. Ma non lo ha “mai sfiorato il dubbio che, in ragione del principio di eguaglianza, un’intesa la si dovesse stipulare anche con i non credenti”. Peccato che proprio la Costituzione e i pronunciamenti degli ultimi decenni della Consulta si muovano proprio per riconoscere ad atei e agnostici pari diritti e dignità rispetto ai credenti. Anche se si è ancora molto indietro. E così facciano la giurisprudenza e la legislazione europea, con la vigilanza della Federazione umanista europea proprio per avere pari dignità in sede Ue. Ma Amato minimizza tutto questo. Non sorprende la nonchalance del dottor Sottile. È lo stesso che, da presidente del consiglio, nel rispondere a un’interrogazione di An contro il gay pride del 2000 a Roma si lasciò sfuggire: “Purrtroppo dobbiamo adattarci a una situazione nella quale vi è una Costituzione che ci impone vincoli e costituisce diritti”.

Non si preoccupi comunque il professor Amato, l’Uaar non vuole celebrare i “suoi matrimoni”: vuole semplicemente consentire, come le associazioni umaniste stanno cercando di fare in altri paesi, che gli sposi possano organizzare nozze civili in luoghi non istituzionali, con il supporto di celebranti preparati. Proprio gli esempi che Amato fa - matrimonio, ora di religione, assistenza religiosa negli ospedali o nelle carceri - dimostrano che i temi trattati nelle intese non riguardano affatto il culto, ma tutte questioni molto terrene e umane, che interessano anche noi, anche i dieci milioni di non credenti che vivono in Italia. E su cui Amato in più di trent’anni di politica al vertice si è sempre dimostrato inerziale, per la gioia della Chiesa.

Il problema è che alle confessioni vengono riconosciuti privilegi per il solo fatto di avere una presunta natura “sovrannaturale”. Vogliamo per atei e agnostici pari diritti, il discorso è molto semplice. Il giurista ha qualcosa da suggerirci e da suggerire ai legislatori per vederli concretizzati?

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