India: stuprare una minorenne e poi sposarla, nel rispetto della legge
Quanto la legge islamica applicata come segno di rispetto verso le minoranze porti alla negazione dei diritti delle donne lo rende ancora una volta evidente una storia allucinante dall’India. Dove la protagonista suo malgrado è una ragazza di 15 anni.
Un tribunale di Delhi ha infatti assolto un uomo, di religione islamica, che aveva rapito, segregato, stuprato e poi pure sposato una giovane della sua stessa confessione. Il codice penale indiano considera la minore come vittima del reato, anche se consenziente.
Ma il giudice Illa Rawat ha fatto riferimento alla legge islamica che consente a una quindicenne di sposarsi in quanto ha raggiunto la pubertà, anche contro il volere dei genitori. In questo caso, i genitori sono stati persino d’accordo nel chiudere la questione acconsentendo al matrimonio riparatore della ragazza. Secondo quanto ricostruito dal tribunale, lei avrebbe volontariamente seguito l’uomo e i genitori erano a conoscenza del fatto.
Il pubblico ministero ha però evidenziato che la madre e la figlia hanno denunciato l’uomo per aver violentato la ragazza mentre si trovava sola in casa e per aver minacciato di uccidere la sua famiglia affinché non rivelasse il fatto; inoltre la ragazza avrebbe subito in seguito altri stupri.
Non è il primo caso del genere, ma i precedenti riguardano paesi dove vige la sharia. In India i musulmani costituiscono invece una minoranza rispetto agli hindu. E questa circostanza, l’inserimento cioè di leggi di parte all’interno di leggi generali attribuendo loro un valore superiore, ripropone la questione del multiculturalismo confessionalista. La nostra associazione ha spesso preso le distanze dall’ideologia che lo esalta e dalla richiesta di tradurlo in legge, perché siamo contro il riconoscimento di privilegi alle confessioni religiose, specie quando schiacciano i diritti e le libertà degli individui e negano la laicità.
I fatti mostrano che la valorizzazione sociale e legislativa del multiculturalismo si traduce nel dare a capi religiosi la possibilità di rappresentare, governare e giudicare con leggi esclusive gli individui. Concedere diritti alle comunità di fede in quanto tali significa inevitabilmente negarli ai cittadini che ne fanno parte: si ritorna cioè a considerarli sudditi e sottomessi, come accadeva fino alla Rivoluzione francese e nel sistema ottomano dei millet.
O, in questi ultimi anni, in Gran Bretagna, con lo sdoganamento delle corti islamiche. Noi nipotini dell’illuminismo siamo invece universalisti: vogliamo l’eguaglianza di ogni cittadino, con gli stessi diritti e doveri. Le eccezioni ad religionem invece la negano e provocano solo guasti. Com’è dunque possibile che trovino tanto sostegno a livello giuridico e politico?
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