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In un mondo migliore (o Haevnen, Vendetta), di Susanne Bier

Love is all you need è un altro film della regista Susanne Bier, più recente di questo Haevnen (Vendetta o In un mondo migliore) del 2010, Oscar come miglior film straniero. Tutto ciò di cui abbisognamo è l’amore, la pace, la fratellanza, porgere magari l’altra guancia perché la violenza chiama altra violenza. E’ quanto succede In un mondo migliore. Una famiglia ha marito e moglie in via di separazione, lui (Mikael Persbrandt) fa la spola tra Danimarca e Somalia dove è medico in un campo profughi. L’altra famiglia è formata dal papà (Ulrich Thomsen) che è spesso in viaggio d’affari, il figlio Christian e la nonna, a casa della quale i due si sono trasferiti dopo la morte per tumore della madre di Christian.

Quel vuoto affettivo ha fatto del ragazzo un concentrato di aggressività e di durezza – ed è questo, mi pare, il tema centrale del film più che il mondo migliore - non perdona nulla ad alcuno e si convince presto che nessun bullo della scuola lo colpirà, almeno non se colpisci duro la prima volta. Protesta col padre, lo accusa di quella mancanza di cui non si può dar pace: tu dicevi che la mamma sarebbe guarita … che non soffriva … desideravi la sua morte. Elias, il figlio della prima coppia, vessato da compagni di scuola più grandi e troppo dispettosi, soffre dell’assenza del padre, dice alla madre di odiarla (l’attrice è Trine Dyrholm, la stessa di Love is all you need).

Per amicizia e per curiosità è fatale che segua il determinato Christian, appena trasferitosi nella sua stessa classe. Dal reagire ai soprusi o dalle vendette di Christian scaturiscono drammi più grandi: è quanto il buon Mikael voleva dimostrare a Elias, al suo fratellino e all’amico Christian. Traslando lo spirito di vendetta dalla Danimarca alla Somalia, la sceneggiatura fa sì che nel deserto somalo dove il dottore lavora, un cattivissimo Big Man - che apriva col coltello la pancia delle donne incinte dopo aver scommesso coi suoi “bravi” sul sesso dei nascituri - venga linciato dai poveracci del campo profughi, vittima della sua stessa violenza.

Si può dubitare che Mikael e Trine (i veri nomi degli attori), dopo tanti drammi, dopo i Ti amo … ho commesso tanti errori di lui e i pensavi soltanto a lei … vorrei perdonarti ma non posso di lei, si riuniscano? Si può dubitare che i ragazzi rinsaviscano e concludano sani e salvi la vicenda? Si può dubitare che Ulrich ritrovi suo figlio e che con lui tutto torni come prima? Nemmeno si poteva dubitare che Mikael tornasse a prestare la sua opera umanitaria nel campo profughi somalo, buono com è, e che l’Oscar come miglior film straniero andasse a questo film molto “corposo”, con tanta Somalia e bei paesaggi e di ben 113 minuti (!), che avrà dato a Hollywood nel 2010 la giusta dose di buone emozioni.

 

P.S. Anche nella realtà, come nei film, la cattiveria interiore fa brutte le facce, mentre i buoni sono buoni dentro e belli fuori.

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