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In morte del peone

“Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro” (Ralph Waldo Emerson ).

“Arrivano il martedì mattina e all’ora di pranzo del mercoledì farfugliano qualcosa tipo che non si vota e che la loro presenza a Roma è superflua. E spariscono fino al martedì successivo”. Il mio amico lavora in un albergo nei pressi di Montecitorio e mi racconta questo dei parlamentari fuori sede. (di Francesca Barzini, il Fatto Quotidiano).

Quando muore un peone, un deputato semplice, praticamente l'ultimo della fila, la madre dei servi sciocchi partorisce. XVII, numeri romani. Una shakerata e si legge, VIXI. Vissi, passato remoto di vivere. Un sospiro per esorcizzare l'infinito passato del verbo morire. “Essere morto”. E così sul 17 si è accatastata tanta di quella sfiga che solamente se sei un gentleman non ti tocchi. La vita è un susseguirsi di fenomeni dovuti alla conoscenza. La morte, al contrario, è una supposizione, un'ipotesi fatta sulla base di segnali soltanto immaginabili. Non dà indizio di sé a chi è cosciente di esistere. “Se ne vanno sempre i migliori!”, la vocina di dentro utile nei funerali. Non è così. Se ne vanno anche gli orfani di un aggettivo positivo. Gli imbroglioni, i ladri e gli usurai. Intrallazzatori, furbetti del quartiere, broker senza scrupoli. Massoni, laici e chierici. I latitanti. Questi se ne vanno un po' prima.

Il peone viaggiatore

Una tipologia elitaria che desidererebbe un trattamento esclusivo è quella dei potentati, destinata comunque alla putrefazione. Da qualche parte nel mondo, ogni giorno muore un peone. E la fanfara pronta al capezzale per accompagnarlo con la grancassa. Un signorotto, che fuori del proprio perimetro di influenza conta quanto il due di coppe a briscola o un padre fondatore in una setta di invasati. Un'anima senza colpe. I servi sciocchi, come arbitri accorsi per un imperdonabile fallo, si accalcano attorno alla salma alla ricerca di un utile idiota che testimoni quella presenza utilitarista. Una persona autentica e retta. Nelle sue mani, il proposito diveniva straordinarietà. Le complicazioni invalicabili, oltrepassate. Riflettere su cose grandi da realizzare.

Agli avversari politici piace ricordarlo come maestro del sapere amministrare. Un politico protagonista della crescita economica della sua terra. Un indomito conoscitore dell’animo umano, delle sue debolezze, delle sue virtù. Un rappresentante apicale della scena politica. Figura simbolica di una comunità, che ha saputo progredire grazie alla sua eredità politica. Conservò un segnale di umanità, quando in un momento di massima difficoltà del partito, nelle conversazioni che sapeva rendere confidenziali sollecitava i giovani a non piegarsi mai alla tentazione di allontanarsi dalla politica. Uno degli ultimi mecenati. Con la sua attività parlamentare ha esercitato un ruolo di primo piano nelle innumerabili battaglie politiche, portando nei palazzi delle massime istituzioni nazionali, le istanze del proprio territorio. Un politico di razza che è stato coerente fino in fondo. Con le loro astrazioni sull'attendibilità di una vita che accetti l'idea della morte, i servi sciocchi hanno irresponsabilmente fatto di se stessi un insensato luogo comune.

Nel bestiario dei termini si insinua il pensiero di un filosofo statunitense del diciottesimo secolo: “Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro” (Ralph Waldo Emerson ).

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