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In autunno faranno i conti anche le grandi aziende

Mentre buona parte degli italiani se ne sta a sguazzare con le gambette a mare, la politica va, come sempre, in vacanza, anche se sembra darsi un gran da fare, i sindacati chiamano allo sciopero - ma solo dopo le ferie – e il giornalismo di professione, quello importante e autorevole, registra anticipatamente i propri servizi e interventi – se va bene. In tutti c’è la percezione che il momento non è dei migliori, ma sopportabile dopotutto – non sono tanto i fatti a dimostrarlo ma il comportamento di molti. Segno che, poi, male male la maggior parte non sta! Comunque è ancora troppo presto per dirlo. Intanto, dopo il reddito delle famiglie, anche il vero valore delle aziende incomincia ad essere intaccato, proprio dal modello che esse stesse avevano fino all’ultimo sperato di instaurare. Il tempo di pagare sta arrivando anche per loro.

Da come la società italiana si sta comportando, si potrebbe parlare di reale ‘estate indiana’; sarebbe così, se non ci fossero affatto news sconfortanti che provengano dal mondo esterno e altrettante pessime notizie provenienti dalla nostra società, mentre la catastrofe è pronta a incombere, e, tuttavia, molti sembrano ignorarlo. Per di più, tutti, o quasi, si aspettano e sanno molto bene che le cose dopo questa estate probabilmente non saranno più le stesse, ma tutto, a parte qualche voce di qualche giornalista che dalle sue vacanze fa sentire la sua voce, magari registrata in anticipo, continua a scorrere nella solita indifferenza. E mentre anche i mercati vanno giù oltre i livelli accettabili, i politici che fanno? Vanno semplicemente in vacanza! Dopotutto, non è il caso di rinunciare alle ferie, neanche quando la nazione, della quale si è alla guida, rischia di fare bancarotta, trascinando l’intero continente nella melma. Richiamare tali irresponsabili al proprio dovere è pura utopia, oltre che inutile. È vero che non è solo l’Italia a trovarsi nella crisi, ma buona parte del mondo occidentale, tuttavia, ci sono troppi ‘conticini’ in sospeso da rimettere a posto, e da come vanno le cose, a quanto pare, probabilmente non lo saranno mai. Nel frattempo, fa leggermente notizia il fatto che le azioni Fiat dall’inizio del 2011 si siano dimezzate. E già! Ma quanto c’entrano i mercati, che alle volte possono essere anche ipersensibili nel gonfiare i dati? Se poi ci si mettono i soliti speculatori ribassisti, allora la corsa al ribasso è assicurata, con grandi guadagni, sia dei grandi gruppi finanziari, sia dei singoli trader, che da ogni parte del mondo sugli umori della borsa ci guadagnano, sia che i mercati salgano o scendano. Nondimeno, la vita delle aziende è, ad un certo punto, diversa del modo di pensare della maggior parte di quelli che operano e speculano sulle borse. Alla fine, dopotutto, se la produttività dell’azienda non viene premiata dalla vendita dei suoi prodotti, la “pacchia” per gli azionisti, legata al valore dei titoli, finisce presto, perché se scende il fatturato dell’azienda, scende automaticamente anche il valore delle sue azioni. I dividendi, che l’azienda deve ai suoi azionisti, se le vendite saranno scese, saranno altresì bassi, e così via fino a quando il mercato delle vendite si rialzerà, facendo salire anche i profitti.

E se così non avverrà?

Ma gli industriali pensano davvero che nell’abbassare gli stipendi, relegando alla cassa integrazione - dove c’è - buona parte dei loro operai, licenziando, chiudendo e portando la produzione altrove, porterà dei benefici alla massa che alimenta i consumi legati ai loro profitti? Quello che sta sperimentando Fiat è solo la dimostrazione che il suo paradigma si sta dimostrando efficiente nel dimostrare che, se alla fine i lavoratori tout court di una nazione, così come della società occidentale in genere, vedono diminuire il proprio reddito, già gravato di debiti personali accumulati negli ultimi anni, non solo per acquistare beni di consumo secondari, ma anche per fare la spesa e pagare le bollette, non saranno in grado di acquistare i beni stessi prodotti dalle aziende per le quali lavoravano, ergo, il mercato potrà solo rivolgersi a classi privilegiate o a mercati esteri – messo che siano atti a ricevere prodotti di un certo costo. In più, se il prodotto realizzato non soddisfa i target delle classi alte, rischia di rimanere invenduto, con la conseguenza che andrà ad ingrossare le riserve di magazzino, con grave danno. E intanto, il profitto scende, i dividendi anche, e l’azionariato incomincerà a premere per trovare altri mercati. Ma questi ipotetici nuovi mercati pagheranno allo stesso modo di quelli appena saturati, sfruttati e lasciati in mutande? È tutto da vedere. Se Atene piange, Sparta non ride! Staremo a vedere se questo cattivo capitalismo riuscirà a far quadrare i conti, almeno per le sue tasche, dopo aver impoverito, senza ombra di dubbio, con le sue pressioni sulla politica e sul diritto del lavoro, gran parte della massa che prima comprava i suoi prodotti e ora invece tira a campare con quello che ha, riciclando il vecchio ad oltranza, avendo capito che, forse, tanto vecchio e inutile non lo è affatto.

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