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Impiccagione ed ergastolo: in Pakistan nuove condanne contro i “blasfemi”

Un messaggio di Whatsapp può avere conseguenze mortali in Pakistan, a causa della draconiana legislazione sulla blasfemia.

La scorsa settimana, come hanno reso noto Amnesty International e Human Rights Watch, un tribunale dello stato del Punjab ha condannato a morte e all’ergastolo rispettivamente un ventiduenne e un diciassettenne, “colpevoli” di essersi scambiati foto e video “blasfemi” e dunque di offesa al profeta Maometto e alle figure sacre dell’Islam.

Le leggi sulla blasfemia sono regolarmente usate contro i cristiani (ha fatto storia la vicenda di Aasia Bibi) e le minoranze musulmane. In non pochi casi, singoli cittadini se ne servono per vendette private o per antipatie nei confronti di altre persone.

Le sentenze della scorsa settimana segnalano un aumento della “caccia online al blasfemo” ma non sono una novità in assoluto.

Aneeqa Atiq, 26 anni, è stata condannata a morte nel gennaio 2022 sempre per dei messaggi “blasfemi” via Whatsapp. Junaid Hafeez, docente universitario, è in carcere da oltre 10 anni e rischia una condanna a morte per aver condiviso contenuti “blasfemi” su Facebook. Il suo avvocato, Rashid Rehman, è stato assassinato nel 2014 e la stessa fine hanno fatto altri avvocati difensori dei “blasfemi”.

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