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Immigrazione, razzismo, ebraismo

Moni Ovadia sull’Unità scrive un pezzo in cui si stupisce che qualcuno si stupisca del comportamento razzista di alcuni israeliani.

Citando qualcuno che si chiede "Ma come, proprio loro? Con quello che hanno passato?" non esita a rispondere “Ebbene sì proprio noi, con quello che abbiamo passato, abbiamo i nostri razzisti, i nostri xenofobi, i nostri fascisti e se andiamo avanti di questo passo avremo anche di peggio”, non accorgendosi che di nazisti in Israele già ce ne sono: proprio in questi giorni lo Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme, è stato deturpato da scritte naziste in ebraico.

L'artista commentatore, di origini ebraico-bulgare, poi afferma: “Come è potuto accadere? È facile capirlo. Gli ebrei sono solo esseri umani come tutti gli altri, con le loro miserie e le loro glorie”.

Che gli ebrei siano solo esseri umani come tutti gli altri, curiosamente c’è bisogno di dirlo. Si vede che nessuno ci aveva pensato prima. Se molti altri sono razzisti (e ne abbiamo ampie prove) perché mai alcuni ebrei non dovrebbero esserlo?

Se andiamo ad approfondire la questione, notiamo che - per quella curiosa ideologia ebraica conosciuta come il “popolo eletto” - gli ebrei in realtà sono sempre stati accusati di razzismo, almeno da un paio di millenni a questa parte. E molti lo sostengono ancora.

Non sembra importante che gli ebrei stessi non vedano nella "elezione" motivo di superiorità o privilegi, casomai di maggiori responsabilità e oneri; e nemmeno sembra importante che il termine ‘eletto’ - che tutte le lingue neolatine condividono dal momento che deriva dal latino ‘electus’ - contenga un senso di “superiore” o innalzato un gradino sopra gli altri che però non sembra attenere all’originale ebraico.

Tant’è che gli anglosassoni, pur avendo il verbo “to elect” usato nel caso di elezioni politiche, quando parlano degli ebrei usano l'espressione “chosen people” che significa “popolo scelto”. Ed è piuttosto chiaro che se un ‘eletto’ sta sopra gli altri, uno ‘scelto’ non sta necessariamente sopra a qualcuno: si può essere scelti anche solo per lavare i pavimenti ad esempio. O per rifare i letti. O per andare a fare la spesa. A me tocca spesso e non per questo mi sento superiore a qualcuno. Anzi.

Ma questi distinguo da filologi non sono mai stati presi in considerazione. Gli ebrei sono stati accusati di razzismo perché “dicevano di essere superiori agli altri” e tanto bastava (e basta tuttora) a larga parte dell’opinione popolare. La cosa è una bufala, separarsi e stare per conto proprio non significa essere automaticamente dei razzisti (altrimenti che dovremmo dire dei cinesi?).

Quindi come mai adesso qualcuno si stupisce se alcuni israeliani (ebrei) hanno davvero comportamenti razzisti? La faccenda dovrebbe essere presa come una scontata conferma di un razzismo esistito (e sempre immaginato), ma evidentemente le cose non stanno così.

Se poi uno volesse girare la frittata dovrebbe chiedersi come mai - se i cristiani si pensano non-razzisti in quanto detentori di una cultura ‘universalistica’ per definizione - proprio dall’Europa cristiana sono sgorgati nei secoli (e non parlo solo del nazismo) i peggiori crimini razzisti della storia.

E, a pensarci bene, pure l'Islam è una religione universalistica, ma i primi segni di distinzione da portare cuciti sugli abiti degli ebrei li ha imposti proprio il califfo Omar (Umar ibn al-Khaṭṭāb) agli albori della civiltà islamica.

Sull’argomento ebrei-razzismo curiosamento tornano anche Sergio Romano, sempre lunedì sul Corriere, che parla dei centri di raccolta israeliani degli immigrati irregolari (sarebbero i nostri CIE), ed anche Gideon Levy (giornalista di Haaretz) in un articolo su Internazionale in cui accusa Israele di essere razzista perché “in nessun altro stato i politici possono parlare degli immigrati come fanno quelli israeliani e restare al loro posto” e “solo in Israele un parlamentare del partito di governo può definire gli immigrati un ‘cancro’”.

Povero Levy, deve essere un po’ ingenuo oppure poco informato su quello che negli ultimi dieci-dodici anni è successo in Europa. Non avrà mai letto quello che dicono i leghisti di lotta e di governo (da Borghezio a Salvini e compagnia cantando), non avrà mai ascoltato gli attuali governanti ungheresi o Marine Le Pen che non sarà al governo, ma i suoi bravi successi li raccoglie. O gli esaltati e maneschi neonazi greci di Alba Dorata che pure loro rastrellano un bel pacco di voti.

Romano invece torna sulla politica dei CIE e, meno ingenuamente di Levy, afferma “Come in Italia anche in Israele, l’immigrato clandestino suscita le reazioni ostili di una parte importante della popolazione, ma s’inserisce abbastanza facilmente nel mercato nero del lavoro e degli alloggi”.

Insomma il problema dell’immigrazione è enorme e di difficile gestione, è facilmente manipolabile per fini elettoralistici e può essere amplificato ad arte o sottaciuto altrettanto ad arte. Quell’orrore dei respingimenti in mare che hanno provocato giustamente una condanna internazionale del nostro paese per manifesto disprezzo dei più elementari diritti umani è peggiore, ma non assolve, quell’altro orrore dei CIE dove gente colpevole di niente viene trattenuta in carcere (pudicamente sono definiti "ospiti") iin condizioni deplorevoli in violazione di qualsiasi umanità e civiltà.

E se i leghisti volevano far cantare i cannoni, magari ricordiamoci che i CIE (ex CPT) sono stati istituiti dalla legge Turco-Napolitano del 1998, firmata cioè da Livia Turco, deputata del Partito Democratico e da Giorgio Napolitano proveniente dallo stesso partito ed attuale Presidente della Repubblica.

Israele (e tutto il mondo occidentale) si devono confrontare con un fenomeno di proporzioni immani, oggi forse smorzato dalla crisi economica che stiamo attraversando, ma inarrestabile. Da regolamentare, con umanità, avendo nella testa che un immigrato non è né un delinquente né il portatore di bacilli infettanti. E se nasce qui ha il diritto di essere cittadino di questo paese nonostante quel che pensa quel becero schiamazzatore di Beppe Grillo.

Ma, nello stesso tempo, non è pensabile aprire le porte a chiunque per non trovarsi in situazioni di conflitto chiaramente ingestibili.

Per Israele le cose sono molto più difficili; il paese è in guerra da sessant’anni, con torti e ragioni, ed è nato dall’esigenza storica di dare una patria ad un popolo che ne avrebbe fatto volentieri a meno, come nei diciotto secoli precedenti, se russi e polacchi prima e poi tedeschi (e italiani, rumeni, baltici, ungheresi, ucraini, russi eccetera) non li avessero convinti che era meglio cercare di fare diversamente.

Ma la “patria mobile” degli ebrei sarebbe la Torah, dice Ovadia, con apparente nostalgia per quello dovrebbe essere secondo lui il vero destino ebraico, un destino tutto religioso sembra, dato che “tutte le volte che hanno tradito questa vocazione (sic) sono cominciati i guai”. Si vede che i pogrom o i campi di sterminio non erano dei veri e propri 'guai' secondo l'acuto osservatore, ma effettivamente la caratterizzazione 'etnica' o 'religiosa' dello stato pone dei problemi (tanto quanto quella araba o quella islamica, ma vabbé, questo ce lo scordiamo sempre).

Oggi in Israele alcuni sono razzisti (come in qualunque altro paese), ma c’è anche un boom di matrimoni tra ebrei e musulmani; cioè un po’ di matrimoni misti (come in qualunque altro paese).

Insomma, se il secolare conflitto israelo-palestinese, per uno di quei miracolosi eventi che ogni tanto accadono - un po' per ritrovata buona volontà, un po' per inesplicabile convergenza di fattori internazionali - dovesse imboccare alla fine la via della pacificazione, potrebbe perfino diffondersi l'idea che amarsi è meglio che spararsi (se perdonate la banalità).

La storica diversità ebraica - starsene per proprio conto senza negare agli altri la loro identità - forse potrebbe affievolirsi, come si è affievolita nel resto del mondo. Prima o poi l'ebraismo sparirà e qualcuno ne sarà contento.

Io, sinceramente, non saprei; prima mi piacerebbe che sparissero quelle culture che predicano l'universalismo e praticano il razzismo, il resto a seguire. Senza mai dimenticare, come si dice, che la razza è una sola e si chiama "umana".

Nella foto due cantanti israeliane, Noah, ebrea e Mira Awad, araba (attenzione a non sbagliare, Mira è la biondina).

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