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Il sogno siriano non morirà

(di Elias Khury, al Quds al arabi. Traduzione dall’arabo di Giacomo Longhi).

Oggi il dibattito sulla Siria si concentra sulla perdita di qualsiasi equilibrio e l’incognita di chi succederà al potere. Il regime si sta sgretolando senza che nessuno possa salvarlo, né gli Stati Uniti, né l’Iran o la Russia. Il suo feroce apparato militare è allo sbaraglio e i segni di cedimento sono sempre più evidenti. Non è più questione se il regime sopravvivrà o meno, ciò che preoccupa, adesso, è la battaglia tra le altre forze in campo.

Zahran Allush entrerà a Damasco o lo precederà al Baghdadi? I curdi riusciranno a rafforzare il loro ruolo nella regione o saranno ostacolati dalla brutale risposta del governo turco? Il fronte al Nusra guadagnerà terreno? E così via… Per non parlare dei rottami del regime, se saranno abbastanza coesi da scaricare Assad prima che cada Damasco oppure, troppo deboli e frammentati, dovranno riparare con lui sulla costa.

Affiorano domande sulle potenze regionali in gioco: l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, la Turchia, l’Iran e i suoi alleati.

Comunque siamo agli sgoccioli. Le varie milizie fondamentaliste hanno consapevolmente raccolto l’eredità del regime e deciso di fondarsi sulle sue rovine. Lo slogan “O Assad o bruciamo il Paese” si è realizzato irreversibilmente, e siccome il fuoco ha già divorato ogni cosa si sono lanciate in una guerra di cenere. Scaturite da un terreno devastato, queste milizie sfruttano la disperazione, lo sradicamento e l’impoverimento della popolazione per costruire nuove dittature.

Chi succederà al potere erediterà una guerra civile permanente poiché nessuna tra le forze fondamentaliste in gioco è in grado di controllare l’intero Paese e lo scenario sarà inevitabilmente conteso. Continue lotte di potere, dunque, e guerre, razzie, uccisioni.

Tale è l’eredità che il regime siriano ha voluto lasciare dietro di sé, una distruzione incessante. Ha smantellato lo stato e schiacciato ogni forma di attivismo sociale nella convinzione che se avesse lasciato come unica alternativa il fondamentalismo takfirista, il mondo avrebbe fatto di tutto per scongiurare la sua caduta.

Ma gli equilibri sono saltati, e non perché il piccolo Assad abbia sottovalutato la situazione, è il mondo guidato dagli Stati Uniti a non essere più indifferente. Che il Medio Oriente precipiti all’inferno, che l’intera regione si trasformi pure in un’enorme replica dell’undici settembre se il nuovo equilibrio internazionale lo richiede. Il piccolo Bush, da parte sua, dopo aver scaricato al Qaida sul relitto dello stato iracheno, si è fatto oggi garante dei Paesi del Golfo per imporre in Siria e in Iraq la “ferocia al potere”.

Il piccolo Assad non ha commesso alcun errore strategico nel reprimere la grande intifada popolare che si è propagata in tutte le città e le campagne della Siria nel marzo 2011, ma i suoi calcoli si sono rivelati inadeguati al nuovo assetto internazionale voluto con spietato pragmatismo dagli Stati Uniti. Consapevole che nel suo Paese era in atto una vera e propria rivoluzione popolare, il piccolo Assad si è rifugiato nella brutalità e ha ordinato ai carri armati di sparare sui manifestanti, mentre i suoi scagnozzi, i cosiddetti shabbiha, hanno perseguitato e ucciso migliaia di manifestanti e attivisti per esasperare la rivoluzione.

Se i Paesi del Golfo e la Turchia gli si sono schierati contro, Assad ha trovato un triplice alleato nell’Iran e nelle milizie libanesi e irachene. Questa triade ha seppellito la rivoluzione popolare sotto un cumulo di macerie distruggendo sul nascere qualsiasi struttura politica d’opposizione indipendente e democratica. Oggi il piccolo dittatore, che troneggia sopra un Paese devastato, si accorge che la piena realizzazione del suo piano coincide con l’inizio del suo declino.

Questa analisi porta alla disperazione. E perché no? Se non c’è scampo alla disperazione andiamole incontro e agiamo di conseguenza. Noi abitanti del Medio Oriente stiamo vivendo il tramonto dei nazionalismi di stampo autoritario e fascista e le fini − si sa − sono difficili così come lo sono gli inizi. Ma con tutte le loro difficoltà e il loro dolore, le fini riservano anche la possibilità di una rinascita dai contorni ancora incerti.

In questo tumultuoso frangente storico, dove gli assassini e i seguaci dell’oscurantismo sembrano avere la meglio, il popolo siriano entra dilaniato e ferito, ma senza arrendersi.

Per ridipingere l’arco del sogno basta una piccola manifestazione a Idlib contro il fronte al Nusra e i suoi emiri. Una sola manifestazione che inneggia all’espulsione delle milizie di al Julani da un paesino nella campagna di Idlib riaccende nelle siriane e nei siriani la speranza di un orizzonte alternativo ai finali di sangue che stanno ora vivendo.

L’indubbia caduta di Assad e la sua uscita dalla storia siriana, paralizzata da oltre quarant’anni di dittatura, non vorrà dire che il tempo rimarrà sospeso per colpa di al Qaida e delle milizie di al Baghdadi che hanno sequestrato la rivoluzione. Con la sua caduta le forze che hanno oppresso la rivoluzione a colpi di armi chimiche e barili bomba per spegnere la luce negli occhi di siriane e siriani dovranno affrontare un popolo che dalla lotta e dal sangue ha imparato l’irrinunciabile valore della libertà.

I giovani e le forze democratiche che la dittatura ha cercato di sterminare, riuscendo di fatto a uccidere molti attivisti e cacciarne migliaia fuori dal Paese, dovranno guardare con nuovi occhi alla realtà che emergerà dopo la caduta del tiranno e la dipartita del suo regime.

A quel punto inizierà la seconda difficilissima fase della rivoluzione, che sarà una battaglia per riscattare la patria siriana dai suoi carcerieri.

Riscattare la Siria dal dominio della clerocrazia iraniana e dei suoi seguaci, dal dominio del petrolio e del gas inquinati da dittature e ideologie fondamentaliste, riscattarla dalla “ferocia al potere” che vuole trasformare la vita in un inferno occupato da dementi e assassini.

Il sogno siriano non morirà, Ibrahim Qashush, la voce della rivoluzione siriana a cui tagliarono la gola nel luglio del 2011, attende l’arrivo di un nuovo inizio.

(al Quds al arabi, 29 giugno 2015)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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