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L’ossessione degli italiani per i programmi di cucina

Il sogno nel cassetto oggi? Gli italiani lo conservano in luogo fresco ed asciutto


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E’ un morbo dilagante, un’ossessione che si è impossessata del telecomando, della gola e del tempo degli italiani: sono i programmi culinari.

A tutte le ore del giorno, tutti i giorni, cuochi di ogni tipo, livello ed età invadono il palinsesto televisivo. Professionisti, dilettanti, giovani, anziani, disoccupati e bambini. Ebbene sì, bambini, perché se quelli cresciuti un paio di anni fa li avevate lasciati incollati alla play station, quelli di oggi cucinano. Una volta gli si urlava di stare lontano dai fornelli, ora preparano piatti che una donna, come me ad esempio, che ha studiato, vissuto, mangiato ed è ingrassata il quadruplo dei loro anni non saprebbe nemmeno quale padella usare per cucinarli. Ragazzi tra gli otto e dieci anni che cucinano abbacchio, sformati, tortini, torte ristruttutate e riduzione di e con. Interi canali del digitale terrestre sono diventati un delirio di cuochi, critici culinari improponibili, riciclati della tv italiana che occupano il piccolo schermo.

Ce n’è per tutti i gusti: cucina veloce, ricercata e straniera, panini, dolci, torte di ogni dimensione e forma, sculture in cioccolato, nomi altisonanti che spaventano inesperti telespettatori, che poi a piatto finito si ritrovano a dire “ma è una cotoletta?”. Orde di donne con il taccuino pronto a segnare la ricetta, pronte ad odiare l’amica se i suoi cupcake sono più belli, mamme terrorizzate dall’idea di vincere il premio di torta di compleanno più brutta o di dolci meno genuini; ma una volta non dovevano essere buoni?

Una folla impazzita di persone che invade forum, si scambia ricette e ribatte in commenti a colpi di grammi di sale o di grani di pepe. Folli che abbandonano il loro lavoro per seguire il sogno di una vita, aprire un ristorante, perché rende liberi, perché dopo che abbiamo inseguito il sogno di diventare ricchi con l’elettronica e con l’ informatizzazione più spinta, ora abbiamo bisogno di tornare ai piaceri della vita facendone un lavoro. Abbiamo bisogno di tornare alle cose semplici, ma chiamandoli con nomi complicati, in ambienti lounge, new age e liberty che costano migliaia di euro di architetto, sciorinate in conti a tre cifre che arrivano a perplessi clienti che hanno ascoltato per tutta la serata, esterrefatti, la descrizione dei piatti nel menu, ma che di fronte al piatto puntualmente esclamano “ma è un cazzo di budino!”.

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