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Il sacrificio di Franca Rame

Franca Rame, una vita spesa nell’impegno civile nel tentativo di rompere quel silenzio abissale contro barriere culturali, colpevoli di marginalizzare diversità e ignoranza.

È proprio l’insipienza che origina fenomeni barbari, ciechi di ogni ragione, causali di morte e annientamento, un dilagare progressivo e insistente sfrenato fino all’inverosimile. L’arte come mezzo per manifestazioni emotive, espressione di sentimenti e linguaggi che danno voce a stati di dolori lancinanti e mai dimenticati.

Dalla sofferenza e dal profondo travaglio, nascono le opere migliori, rappresentazioni di umanità, smalizianti e consapevoli del proprio ruolo sociale, coraggiosamente esposte al pubblico indistinto, privo di ogni tipo di classificazione politica e sociale. L’arte è pura, libera da ogni connotazione, attitudine creativa alimentata attraverso forma-mentis culturale necessaria a una propria composizione anatomica, che ne idealizza la vitalità e ne permette l’espressione nell’universo linguistico ed esistenziale.

“Lo Stupro” è il compiuto, immagine e memoria collettiva, atto di denuncia verso una società veicolante di ideologie errate, terra omofobica e selvaggia, dominata dalla confusione imperterrita, tra il bene e il male, destra e sinistra, ricchezza e povertà. Franca fu stuprata perché era politicamente impegnata, per la sua graffiante verve comunista, disapprovata dal fascismo e quindi punita su istigazione delle autorità locali, una sentenza venuta fuori solo dopo 25 anni e con nessuna condanna a seguito, a causa della prescrizione del reato.

Forse il destino nella sua più intima brutalità ha voluto sacrificare la vita di Franca per renderla portavoce del dramma dell’annientamento, perché la violenza va identificata non solo come atto meramente fisico ma anche di grave acquiescenza morale. Molte donne procastinano ogni possibilità di ripresa, in altre, invece, il dramma ne è parte consistente, ne avvilisce i sentimenti e amalgama tristezze. 

Franca ha fatto della propria esperienza, un monologo di tragica solitudine, congiunzione amara con il passato che trova nella liturgia teatrale un modo per essere raccontata, uno sfocamento di immagini ferine, che periscono nell’atrocità dei fatti. Sineddoche di un male reale radicato nel tessuto contemporaneo, che necessita profonde riflessioni e provvedimenti educativi, svolte con concreta occorrenza mediate la percezione trasparente dell’arte del sentire, nell’esplorazione della comprensione empatica della realtà. 

Argomenti spesso trattati con grande superficialità dalla televisione, inseriti come fatti di cronaca necessari al riempimento dei propri palinsesti, nel tentativo di soddisfare quell’audience ingorda dei drammi degli altri.

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