Il sacerdote sbattezzato e scomunicato dal vescovo

Il quotidiano La Nuova Sardegna ha reso noto che don Mario Bonfanti, sacerdote molto (troppo) impegnato in favore dei diritti degli omosessuali, e omosessuale egli stesso, ha deciso di uscire dalla Chiesa cattolica, nella quale non si “riconosce più” e della quale “non condivide più scelte e orientamenti”. In risposta il vescovo di Ales-Terralba, mons. Giovanni Dettori, l’ha prontamente scomunicato. Con una solerzia che spesso manca, quando a chiedere di formalizzare la propria apostasia dalla Chiesa romana sono comuni mortali.
Perché quello di don Bonfanti costituisce, in pratica, un vero e proprio sbattezzo. Il sacerdote non ha certo usato questa parola, come peraltro non la usano tutti coloro che utilizzano il facsimile Uaar. Del resto, “sbattezzo” fu termine riproposto, in età moderna, dal quotidiano dei vescovi Avvenire per sbeffeggiare un signor credente, Aldo Capitini, il primo organizzatore della marcia per la pace Perugia-Assisi e che a sua volta voleva abbandonare una Chiesa in cui non credeva più. Ma tant’è, sin da quando l’Uaar è riuscita a veder riconosciuto il diritto di ogni cittadino di poter abbandonare anche formalmente la Chiesa cattolica, è questo il nome che i mezzi di informazione hanno dato alla richiesta. Che altro non è se non l’espressione pratica di un fondamentale diritto dell’uomo: la libertà di coscienza. Quella stessa libertà di coscienza di cui i cristiani magari sono pronti a invocare la tutela, quando vedono conculcati i propri diritti e subiscono persecuzioni.
La Chiesa, che non scomunica preti pedofili e omicidi, non è mai stata tenera con chi ritiene che l’abbia tradita. Non finiremo mai di stupirci del fatto che continui imperterrita a voler buttar fuori chi se n’è già andato per conto suo. Ma il concetto di “sigillo indelebile” che attribuisce al battesimo è qualcosa di inevitabilmente morboso e illusorio, che nella migliore delle ipotesi è ridicolo. Nella peggiore, ricorda il comportamenti di quegli amanti respinti che, ogni tanto, vengono condannati per stalking.
Don Bonfanti ha avuto del coraggio: non tanto per essersi sbattezzato (e il fatto che sia stato un sacerdote a farlo mostra come la richiesta non sia per nulla assurda), quanto perché un religioso che esce dalla Chiesa va incontro a grosse difficoltà economiche e all’esclusione sociale. Al grande studioso Ernesto Buonaiuti, non molti decenni fa, l’apostasia costò la cattedra universitaria e la morte in miseria. E questo spiega perché tanti e ben più famosi preti dissidenti preferiscano restarsene all’interno dell’organizzazione che tanto criticano.
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