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Il romanzo di Jonathan Franzen divide l’America

Mentre si attende la traduzione italiana, prevista per febbraio dall’editore Einaudi, il romanzo "Freedom" di Jonathan Franzen, acclamato autore de "Le correzioni" e di "Zona disagio", fa discutere per le sue posizioni in fatto di politica, letteratura e società. Forse siamo davanti a un capolavoro? Non tutti sono d’accordo...

Il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, Freedom, è diventato il campo di due generi di battaglia, politica e letteraria. E’ un segno, in fondo, della sua vitalità. Prima ancora di arrivare da noi, in traduzione italiana, il romanzo e il suo autore sono diventati un argomento tra la terza pagina e il gossip culturale, dato che fin da subito il pubblico americano ha scelto di schierarsi in modo netto, pro e contro il nuovo e molto atteso - nove anni sono passati dalla prima stesura - parto letterario di Franzen. Intanto il Times gli ha dedicato, quest'estate, una copertina che è già leggendaria.

Pareri discordi. Da un lato, c’è chi acclama Freedom come un capolavoro e lo paragona addirittura a Tolstoj per il modo in cui tratta temi scottanti e delicati di cui, certamente, il romanzo è infarcito: gli appalti privati nella guerra in Iraq, il plagio, l’amicizia, i legami familiari (quest’ultimo è uno dei temi portanti anche del precedente Le Correzioni), la psicanalisi, le famiglie in crisi, l’ascesa dei neoconservatori dopo l’11 Settembre, e molti altri nodi problematici. Dall’altra, si vocifera che nonostante le ambizioni sociali il romanzo sia, in realtà, una rappresentazione middleclass di problemi che con le crisi coniugali della borghesia non c’entrano nulla. Dalla parte dei detrattori ci si è messo anche il Guardian che ha definito il romanzo una “commedia da soggiorno”, qualcosa come un’epopea televisiva in forma letteraria.

In Italia i pareri sono stati, ovviamente, più miti e soprattutto disinformati; ci sarebbe da chiedersi quanti recensori sono in grado di leggere, di solito, un romanzo in lingua americana e, per di più, di seicento pagine. In genere, non gli viene neppure chiesto di farlo. Destino analogo, si potrebbe dire, ce l’hanno tutti i libri non ancora tradotti ma, forse, nel caso di autori del calibro di Franzen, De Lillo, Roth si dovrebbe fare almeno lo sforzo di informarsi e di leggere i primi capitoli. La curiosità non paga, evidentemente.

Noi, invece, i primi capitoli li abbiamo letti in lingua originale e bisogna dire che quanto ha scritto, con profetico anticipo, Francesco Pacifico sul domenicale del Sole24 Ore (n. 264) è abbastanza vero: ad una prima impressione, “la verità del libro non sta tanto a metà strada quanto nella somma tra la reazione entusiasta dei sostenitori e le riserve stizzite dei detrattori: sono due opinioni estreme e il libro merita entrambe finché i suoi temi non andranno fuori moda e si potrà giudicare la vera tenuta strutturale ed emotiva e linguistica dell’opera”.

Nel suo articolo, Pacifico si lascia affascinare dall’ipotesi che il motivo per cui la lingua con cui scrive Franzen si sta orientando verso la semplificazione, in qualche modo tirandosi indietro rispetto agli esiti più sperimentali del romanzo del Novecento, è che l’autore vorrebbe “vincere la battaglia contro la nuova grande forma d’arte del nostro tempo: la serie televisiva di alta qualità, che ha già capolavori assodati in Six Feet Under, Sopranos, Mad Men e The Wire, opere di sorprendente complessità, varietà e generosità narrativa, umana e tematica, di largo consumo”.

E' giusto inquadrare in questo modo le motivazioni di un autore come Franzen, famoso per il temperamento schivo, poco portato per i riflettori mediatici, tanto da aver scritto un libro intitolato Come stare soli (Einaudi)? Se anche così fosse, ciò testimonia lucidità e lungimiranza in un romanziere che, a differenza di tanti altri, non sta giocando la battaglia con i media dall’esterno ma dall’interno del Sistema. Franzen sarebbe diventato, a modo suo, una specie di “hacker” letterario: il suo desiderio sarebbe mescolare i codici, rilanciare la letteratura attraverso il Male, l’assurdo e la volgarità del nostro tempo, anziché ricercare una purezza- stilistica quanto morale- che non esiste e, forse, non è mai esistita.

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