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Il qualunquismo di Cacciari su Twitter (e una domanda sul ruolo degli intellettuali)

Il filosofo Massimo Cacciari sostiene, su Repubblica, di conoscere «bene» Twitter e Facebook. Perché, afferma, da «tre anni» combatte contro falsi profili che lo riguardano. Tralasciamo che soltanto l’otto aprile abbia dichiarato: «Twitter? Mai usato. Non lo uso, non uso Facebook, non uso nulla». E, di conseguenza, ipotizziamo che sia informato e consapevole – come ci si apetta da un intellettuale – il suo giudizio sui social network, definiti alternativamente «boiate» e forme di comunicazione dove «tutto si eguaglia, non ci sono più vincoli tra i distinti, tutte le parole che circolano sono uguali». 

A parte la questione dell’amicizia online, «per frustrati» secondo Cacciari, mi si conceda di ricordare all’ex sindaco di Venezia la cronaca di queste ore, che forse mal si concilia con le pagine di Ficino e Pico della Mirandola con cui sembra maggiormente a suo agio. Come riporta Ars Technica, in Kuwait uno scrittore – magari animato proprio dallo spirito polemico che così spesso ha contraddistinto Cacciari – è stato condannato a sette anni di lavori forzati in prigione e a 18 mila dollari di multa per aver diffuso «notizie non vere» sull’esistenza di divisioni settarie e razziali nella comunità del Paese, e per aver «insultato la fede Sciita e i suoi studiosi». Dove? Sul suo profilo Twitter.

Al filosofo si potrebbe pure perdonare la svista – così come il qualunquismo – se non fosse che non è affatto la prima volta che un tweet comporta il carcere (o addirittura il rischio di una condanna a morte). E che il qualunquismo mal si accosta a chi ha dedicato la propria vita allo studio della verità (che, per quanto importi, preferisco chiamare esplorazione del dubbio).

La domanda per Cacciari, in sostanza, è semplice: come spiegare allo scrittore condannato in Kuwait che sui social network «tutte le parole che circolano sono uguali» e «tutto si eguaglia»? Quella più difficile riguarda buona parte dell’intellighenzia italiana: perché non riesce a esercitare a pieno titolo il suo (fondamentale) ruolo rispetto alle nuove tecnologie e alle loro potentissime, a volte perfino inquietanti conseguenze sull’individuo e la società?

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