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Il populismo italiano? È solo protesta da bar

Non si fa altro che parlare di quanto il populismo sia diventato imperante nello scenario politico italiano. Quasi fosse una formula magica attraverso cui macinare consensi ed approdare a risultati validi di appeal socio-elettorale. E tutto questo assume dei tratti di maggiore evidenza, all'indomani dei risultati Lepenisti in Francia che sollevano una riflessione che si colloca ben oltre la banale e raffazzonata sintesi del voto di pancia in tempi di terrore jihadista.

Ferma restando la non assimilabilità della ratio del Front National alle forze di ispirazione populista attualmente frementi in Italia, appare innegabile - però - una riflessione comune che trascende i singoli confini nazionali e che si colloca nelle reale capacità di fare una politica contestualizzata da parte delle forze di Governo.

Inevitabilmente la degenerazione populista, fatta di slogan urlati che ricalcano i malumori del cittadino comune, da un linguaggio diretto che nel contempo intimorisce e rassicura prospettando un progetto politico fittizio fatto quasi a misura di cittadino medio, appare come il punto di approdo inesorabile di una politica di governo incapace di trovare gli strumenti più adeguati per fronteggiare lo status quo, lasciando aperte faglie sempre più ampie entro cui si insinuano gli argomenti privilegiati dalla retorica populista. I fulcri di questa retorica si collocano nelle istanze di sicurezza, in tutte le sue molteplici declinazioni, nelle criticità economiche dei cittadini e nella demonizzazione della classe politica al Governo.

Su questo fronte, le forze politiche al Governo, dovrebbero avere la priorità inderogabile di dare risposte, bypassando dicotomie interne, posizioni conservatrici e degenerazioni ideologiche, e la sporadica retorica dell'autoflagellazione, cercando esclusivamente di intercettare le istanze della società civile e mostrando quel rigore e quella responsabilità che finora, su alcune tematiche, sembrano totalmente mancanti. Dall'altro lato, il cittadino, già vessato da una congiuntura socio-economica complessa, dinanzi al tacere del Governo su temi di immediata attenzione come, lo può essere la gestione dell'emergenza migratoria, non trovando nelle dichiarazioni dei referenti di Governo delle posizioni chiare e delle garanzie di tutela della sicurezza segnatamente verso gli illeciti che l'emergenza stessa può comportare, perde il suo legittimo riferimento nelle istituzioni, ritrovando esclusivamente nella retorica populista quelle risposte e quelle posizioni - tra l'altro veicolate in maniera estremamente semplicistica e diretta - di cui si ha bisogno.

Il populismo, sia quello in salsa italica che quello che, a tonalità diverse, condiziona altre esperienze nazionali, non può intendersi come la risposta ad una inappagata istanza sociale, che si evolve per diventare forza politica ma una inevitabile degenerazione di una politica che detiene sempre più carenze. Si sopravvaluta il fenomeno se lo si inquadra come una sorta di rivoluzione socio-politica perché, nel contempo, significherebbe elevarne la dignità inquadrandola in un scenario che non le appartiene, ben lontano dalle dinamiche di emancipazione sociale, culturale e politica che sono - normalmente - preludio delle rivoluzioni di qualsiasi natura. Sarebbe più giusto minimizzare l'exploit come la materializzazione plastica del malumore italico verso una stagione le cui criticità si collocano anche oltre i confini nazionali, e che in parte la politica del mainstream fa fatica a comprendere o - se lo fa - sbaglia modalità di veicolo delle probabili soluzioni.

Il problema del Governo e delle forze di maggioranza, alla base di tutto, sta nell'assenza di strumenti aggiornati e contestualizzati attraverso cui parlare ad una società civile che ha dimostrato di volere risposte chiare, rigorose e di semplice impatto. I giri di parole ed i rimpalli di responsabilità sui cosiddetti temi scomodi vengono inevitabilmente inquadrati come disinteresse e conseguentemente fagocitati dalla macchina di consensi populista. È enormemente sbagliato parlare di una rivoluzione sociale in atto, sarebbe più appropriato parlare di una chiassosa protesta da bar dello sport.

 

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