Il pacioso papa antimodernista

Questo papa, oggetto di diffuse quanto acritiche simpatie, se non di un vero e proprio culto specie dai media, appare a molti un “progressista”, addirittura un “rivoluzionario”. Gioca molto il confronto impietoso tra Ratzinger, più freddo e schietto a livello teologico, e il pacioso Bergoglio, sul quale i cattolici hanno riposto grandi aspettative e che anche molti laici e non credenti vedono positivamente. Una dinamica che somiglia alla storia del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.
Piuttosto, confrontando la consistenza reale di certe dichiarazioni a braccio con le posizioni ufficiali e gli atti concreti, Francesco andrebbe più onestamente considerato un riformatore. Bergoglio si mostra più sobrio ed esprime una volontà (tardiva) di svecchiare la Chiesa, o almeno di sanare certe magagne che ne intaccano la credibilità. Si veda la pulizia frettolosa nello Ior o i regolamenti di conti interni nella curia romana.
Nel frattempo, quello stesso papa “rivoluzionario” conferma un reazionario come il cardinale Carlo Caffarra quale arcivescovo di Bologna per altri due anni. E sul fronte dottrinario ripropone le stesse posizioni granitiche del cattolicesimo. E come non potrebbe? Lo fa però con l’accortezza di usare un linguaggio alla mano, accattivante e a volte meno diretto, evitando le questioni più imbarazzanti.
Molto si gioca sugli equivoci generati da battute pronunciate a margine di eventi o discorsi ufficiali, prontamente amplificate da giornali e commentatori. Spesso ci si dimentica delle “contestualizzazioni” che subito fioccano dal Vaticano. Come accaduto tempo fa proprio per lo Ior, con la rassicurazione dell’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto alla segreteria di Stato: “Il papa è rimasto sorpreso nel vedersi attribuite frasi che non ha mai pronunciato e che travisano il suo pensiero”. Allo stesso modo Oltretevere smentì anche le presunte aperture di Francesco per concedere la comunione ai divorziati risposati.
Per comprendere l’ambiguità del Bergoglio-pensiero è utile focalizzare l’attenzione sugli aspetti della dottrina cui si sofferma il nuovo papa, nonché sulla sua visione della storia e della politica. Lasciando da parte i rapporti ambigui con ambienti della dittatura argentina, negli anni scorsi come arcivescovo e capo della conferenza episcopale argentina si era distinto per l’interventismo politico contro i matrimoni gay (bollati come frutto “del demonio“), sebbene alcuni sostengano che abbia aperto alle unioni civili come “male minore”: circostanza seccamente smentita da parte cattolica. Un esempio di come Francesco sia caricato di grandi aspettative da settori più aperti della Chiesa e dai laici più suggestionabili, che gli attribuiscono posizioni moderne, che tuttavia sono puntualmente ridimensionate.
Bergoglio ha mantenuto posizioni reazionarie, come ricordato, anche su aborto ed eutanasia. Da papa si è rivolto in maniera ambivalente agli atei, una volta citando Leon Bloy (“Chi non prega il Signore, prega il diavolo”) e poi prospettando il “confronto” con i non credenti. Secondo alcuni, il papa avrebbe detto pure i non credenti vengono salvati da Cristo e vanno in paradiso, ma il tutto è naufragato in confuse pastoie teologiche.
D’altronde la dottrina cattolica è per natura esclusivista, nonostante qualche espediente conciliante, e la preoccupazione degli atei e degli agnostici non è certo quella di essere salvati da chicchessia. I discorsi di Francesco spesso fanno riferimento al diavolo come essere reale e non mitico, all’insegna di una visione più antimoderna della dottrina. Ne è nato anche un caso quando è stato attribuito al papa un esorcismo in diretta.
Quanto alla politica, il mese scorso, ricevendo una delegazione di parlamentari francesi, ha ribadito la sua idea di laicità (che non deve comportare “esclusione delle religioni dal campo sociale e dai dibattiti che lo animano”) e ricordato che i politici cattolici hanno un “compito” “tecnico e giuridico” che “consiste nel proporre leggi, nell’emendarle o anche nell’abrogarle” ma anche quello di “infondere in esse un supplemento, uno spirito, direi un’anima”.
Il sapore antimodernista del pensiero papale emerge anche nei frequenti riferimenti ai martiri cristiani e nella riscrittura della storia che fa da corollario a queste rievocazioni. Avallando le stime gonfiate delle vittime di persecuzioni, Bergoglio ha sostenuto che oggi ci sono molti più martiri rispetto ai tempi dell’impero romano (già oggetto di mitizzazioni apologetiche). Salvo correggere il tiro parlando di “martiri quotidiani”, ovvero coloro che si prodigano in varie attività in senso cristiano, come famiglie, sacerdoti e giovani.
Ancora più esplicito quello che ha sostenuto durante l’Angelus di sabato scorso, per la festa dei santi Pietro e Paolo: “La Chiesa di Roma è diventata subito, spontaneamente, il punto di riferimento per tutte le Chiese sparse nel mondo, non per il potere dell’impero, ma per la forza del martirio, della testimonianza resa a Cristo”. Si tratta di affermazioni tranchant che ormai la ricerca storica ritiene inconsistenti e che vengono sottoscritte solo dal cristianesimo più integralista. Buone appunto per i proclami ai fedeli più ignari: non sorprende che siano fatte proprie dal papa, che così deve giustificare la posizione che occupa.
La Chiesa di Roma ha assunto una posizione centrale vincendo la concorrenza di altre sette o correnti. Diversi apologeti e padri della Chiesa, ritenuti fondamentali per l’elaborazione delle dottrine e per le prime apologie, sono stati non a caso poi bollati come “eretici” o su di loro è sceso un imbarazzato silenzio. Ne è seguito un processo di adattamento e riscrittura della stessa produzione cristiana, per far rientrare tutto in una visione provvidenziale che voleva la Chiesa romana naturale erede di Pietro e Paolo.
In questo riadattamento orwelliano cominciato prima che nascesse Orwell, il potere dell’impero ebbe un peso eccome. Con Costantino una religione di minoranza (non più del 10% dei sudditi) stabilì la sua egemonia a corte, e da Teodosio in poi vennero emessi provvedimenti che dichiararono fuori legge gli altri culti e le sette eretiche. Leggi che facilitarono il consolidamento della Chiesa romana spazzando via la concorrenza interna ed esterna.
Volendo trarre le somme, Francesco è un papa che, come Pio X e Giovanni XXIII, si mostra più vicino al fedele cattolico. Nelle sue parole e nei suoi gesti vengono riposte forse troppe aspettative, e da qui a parlare di “rivoluzione” ce ne corre. Perché sul lato della dottrina, della visione della storia e della politica conferma il suo approccio antimoderno, saldamente ancorato ai principi del cattolicesimo romano. Dicotomia sulla quale occorre essere consapevoli, per non farsi troppe illusioni.
Anche lui, come i suoi predecessori, sarà del resto giudicato dai fatti. Siamo sinora di fronte a un personaggio che ha il potere assoluto negli ambiti in cui opera, e che invece di far qualcosa di concreto, auspica solo che certe cose accadano. Sembra ancora un parroco di provincia a cui ogni tanto scappa una critica al Vaticano. Sembra non essersi reso conto che è lui, il Vaticano.
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