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Il nuovo lavoratore. Un One man band

Così Luca pensò: “Bastava attendere l’inevitabile e nuovo modo di fare giornalismo”.
Tutto ciò di cui Luca si munì fu una borsa agile per viaggiare, una scheda di memoria digitale e una piccola ma buona telecamera regalatagli per la Laurea.
Gli anni passavano incessanti e Luca cominciava a spazientirsi. Ciò che attraversava, nei suoi viaggi alla ricerca di una professione, consisteva in attese determinate da truffe tramutate in occupazioni lavorative e incapacità di esprimere il suo saper fare qualcosa per metterlo a servizio della società.
 
Luca pensava spesso ai suoi amici. Chi migrato in altri e più fiorenti lidi di idee, chi invece con il tanto agognato quanto dimenticato posto fisso e chi invece provava ad aggiornarsi con mille corsi extra universitari, nella speranza di un certificato in più da esibire durante un colloquio di lavoro.
 
Fu così che nell’attraversare il minato sentiero dell’inoccupazione, Luca guardava con occhi più disillusi tutti i suoi anni passati tra accademie raccogliendo immagini e storie in giro per il mondo che cominciava a venirgli pesantemente contro. La voglia di perdersi definitivamente lo assaliva e chissà perché le immagini e le storie non lo interessavano più.
 
Luca si definiva sempre un uomo libero. La sua professione firmata sulla carta, restava carta e lui restava schiavo della stessa. Nemmeno un assaggio di ciò che magari avrebbe anche potuto disprezzare, perché meno libero di quanto pensasse. Profezie ed avvertimenti che già dai suoi professori arrivavano incessanti. “Attenti perché voi studiate comunicazione… e vi ritroverete presto a vendere gelati…” dicevano i sapienti insegnanti dietro una comoda cattedra universitaria. 
 
Ma Luca si ripeteva, “no non è possibile… Ci deve essere una via per comunicare la mia voglia di crescere e professionalmente”. Pensava che i gelati li aveva già venduti durante gli studi per mantenere le faticose spese di una laurea e pensava anche che avrebbe potuto continuare a farlo, ma in realtà il chiodo fissato nella sua testa era quello di incominciare a raccontare le sue storie. Fare il giornalista.

Era proprio un giorno come altri, quando Luca per sbaglio incontra uno dei suoi tanti insegnanti per strada. Gente venerabile gli insegnanti. Gente disposta ad insegnarti qualcosa o anche a darti un semplice consiglio. Fu così che la sua strada si aprì nuovamente. Le parole furono semplici: “ Fai qualcosa adesso?” e Luca “si professore per ora faccio il freelance”, anche se in quella parola non ci aveva mai creduto più di tanto, allora l’ex insegnante disse: “Ricordi cosa dicevo a proposito dei nuovi processi mediatici?”. La risposta di Luca fu: “si!!!”. Il resto fu la risposta che Luca stava cercando.
 
Risposta dietro l’angolo di una strada qualsiasi in una città qualsiasi. Allora l’orizzonte cominciò a divenirgli più chiaro.
 
Passano pochi giorni da quell’incontro e squilla il telefono. Numero sconosciuto.
 
A chiamare Luca è un’emittente televisiva alla ricerca di video-giornalisti. Luca pensa dentro di sé, come è possibile. Tutto questo tempo e solo adesso capisco che c’è chi ha bisogno urgente, proprio di ciò che conosco.

Si reca a colloquio con alcuni degli editori della sua futura redazione. La richiesta del suo direttore è semplice e chiara.

“A noi serve un one-man-band…”, “tradotto? un giornalista nuovo stile che va a prendersi le immagini, le confeziona e le manda a servizio sul canale all-news che abbiamo appena aperto grazie alla piattaforma digitale terrestre…”.

I pochi giornalisti vecchio stile che Luca aveva il piacere di conoscere avrebbero abbandonato quel tavolo di colloquio congedandosi con: signori è stato un piacere.

Luca pensò, invece, “ma come? è quello che faccio e mi auto produco da anni e per lo più gratuitamente. E così pensò ancora, “sarebbe grandioso avere qualcuno da cui imparare che mi protegga lavorando per suo conto”.

Così Luca cominciò la sua avventura nel mondo della comunicazione, quella multimediale.
 
Le prime riunioni, in quello che a lui sembrava un grande lunapark di luci e lucette, di sale regia, telecamere e giornali, parlavano nei codici che Luca conosceva e che creavano grattacapi di grosse entità ai tecnici che dovevano rinnovarsi.
 
La gestione digitale dei dati diveniva un interminabile flusso da trasmettere senza alcun buco, perché Luca scoprì presto anche la cosa più ovvia. La parola buco soprattutto oggi, in televisione, significava problema… grosso problema. Il nuovo decoder digitale, portava in casa della gente un telecomando che sembrava un mouse. La gente non era mai stanca di apprendere altre e nuove notizie dalla cara e vecchia TV.
 
L’adeguamento diveniva inevitabile per la redazione del neo arrivato Luca che da una mini stanza a due postazioni cominciava a riempire il canale assegnatogli. Pazzesco, pensava il nostro amico. Tutto ciò che aveva sempre sentito da giornali, conferenze, economisti e mass mediologi, si stava realizzando sotto i suoi occhi e per giunta egli ne era tra i fautori. Ricorda ancora, Luca, le grida dai piani bassi e dalle sale montaggio dei servizi, quando ad arrivare erano fiumi di dati e immagini da montare e inviare in tempo reale ai giornalisti perché potessero incamiciare il pezzo.
 
Ricorda ancora, Luca, le grandi aspettative riposte in lui da una redazione che tra giornalismo analogico e quello digitale, tra grida e follia di un sistema che cambia e spiazza, doveva e deve adeguarsi.
 
Ricorda ancora, Luca, la sua disperazione passata in attesa di un occasione che nessuno voleva fornirgli.
 
Sorride dalla sua postazione cross-mediale, soddisfatto del lavoro apprezzato dai colleghi e pensa che per far valere le sue pretese professionali…
 
“Bastava attendere l’inevitabile e nuovo modo di fare giornalismo”.
 

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