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Il mondo agricolo dell’Alto Milanese all’Abbiatense. Qual buon vento per il 2016?

Fin da piccola ho sempre bazzicato per la campagna ai bordi del Parco Ticino, in vallata di Robecco sul Naviglio prov di MI.

Il nonno era fittabile e fin dall’ora ho imparato ha decifrare il pensiero degli addetti ai lavori.

Presi singolarmente sono brontoloni, sempre a lamentarsi che il guadagno è basso, le spese troppo esose, come del resto ogni cittadino italiano di questi tempi, con la differenza che se li metti attorno ad un tavolo e a un buon bicchier di vino, di primo acchito, ti dicono che per loro va tutto bene… l’orgoglio del loro amore per la terra e per il loro mestiere va oltre alle fatiche e all’attenzione che l’agricoltura in toto richiede e va ben oltre il guadagno puro.

Oggigiorno quello che salta agli occhi ripercorrendo la vallata che si stende ai piedi della frazione di Casterno a distanza di anni, è che le colture intensive hanno apportato un notevole miglioramento dal lato quantitativo del raccolto, ma un eccessivo disboscamento delle campagne. Come tutte le cose, questo ha provocato un lato negativo non di poca importanza dove esistevano querce, larici, robinie salici, ecc. e dove le loro radici ben piantate sulle rive delle rogge impedivano all’acqua di corroderle, ora anche dove vi sono le strade asfaltate, che portano alle varie cascine a volte vi sono smottamenti e i mezzi che sono raddoppiati di volume e peso finiscono nei fossi. Bisognerebbe tener conto della cultura che i nostri nonni ci hanno passato perché non sempre è da accantonare anzi, necessiterebbe di una rispolveratina.

Ma in questi ultimi due anni in modo particolare con il cambio generazionale, con i giovani che hanno ricominciato ad appassionarsi alla cultura della terra più che all’allevamento, ma anche chi ha scelto quella strada, lo ha fatto puntando su scelte ben precise su razze bovine di qualità sia che la stalla fosse improntata alla produzione di latte o di carni, anche qui tendenzialmente magre ma saporite come potrebbero essere i castrati o le scottone.

Insomma a portare avanti le aziende spesso sono agricoltori giovani ma con una buona esperienza alla spalle e , non guasta mai, anche la vecchia guardia che vigila dietro loro, perché non si commettano errori grossolani.

Quello che maggiormente aiuta l’agricoltura in questo momento e in questa zona particolare parlo dell’Abbiatense Magentino e dell’Alto milanese è anche il fatto di aver iniziato già da tempo le culture biologiche e la vendita diretta al pubblico, quella fetta di guadagno immediato che porta ad arrotondare quel tanto da rendere la vita degli agricoltori economicamente più interessante.

Il motto è “differenziare” non tanto sulle culture dove ognuno si è specializzato in settori particolari ma sulla commercializzazione diretta e possibilmente su culture anche se non totalmente bio ma certamente meno inquinati da pesticidi o concimazioni eccessive come nel passato. Di questo bisogna ringraziare i pionieri del biologico che nonostante enormi sacrifici ma credendo fermamente nella loro teoria, sono riusciti a convincere una buona parte soprattutto di coppie giovani ma non solo a mangiare prodotti meno belli meno perfetti ma più salutari. Altro arricchimento aver imparato l’arte dell’ospitalità aprendo le porte delle loro cascine e trasformandole in deliziosi agriturismi dove la cucina è casereccia ma col tempo si è notevolmente raffinata pur mantenendo i sapori della terra di provenienza.

Un altro effetto del ritorno all’agricoltura di nuove forze lo si riscontra da diversi appezzamenti di terreno, che per anni erano rimasti incolti spesso come fermo biologico. Qui si dovrebbe aprire una parentesi piuttosto dolorosa. Infatti il fermo biologico dovrebbe essere un periodo di tempo sabbatico in cui ogni terreno ciclicamente dovrebbe essere messo a riposo per ricostituire la sua funzionalità biologica. Per questi fermi gli agricoltori vengono ovviamente pagati per mancato guadagno. Il problema nasce dal fatto che spesso i terreni che venivano tenuti fermi erano sempre gli stessi quelli meno produttivi ,o più difficili da coltivare ma in realtà venivano dichiarati altri che invece erano coltivati in continuazione. Questo è un grosso problema ancora oggi, che andrebbe risolto in quanto comporta un’eccessiva concimazione dello stesso terreno e un continuo ciclo lavorativo sempre sullo stesso che nonostante tutto si impoverisce con il tempo. Per fortuna sono pochi gli agricoltori che non sono ligi alle leggi, ma chi lo fa impoverisce un pezzo non solo del suo terreno ma anche dei limitrofi nonostante se ben coltivati a regola d’arte.

Con l’incremento della superficie coltivabile è ricomparsa anche la coltivazione del riso che solo 40 anni fa era un’abitudine nella vallata di Casterno. Ora è ricomparso ma sotto forma di coltivazione a secco anche se qui siamo circondati da rogge, fontanili e non mancano certo i canali. Viene da pensare che a parità di produzione e qualità e minor lavoro la scelta cade proprio sulla seconda ipotesi meno invasiva a livello di orari di lavoro.

Una cosa però e rimasta ancora di un certo interesse e andrebbe decisamente monitorata ancora di più l’uso dei pesticidi che purtroppo continuano a fare stragi di animali utili mentre fanno stare in salute quelli davvero poco graditi come zanzare e mosche. Siamo ancora molto lontani da un intervento integrato con insetti antagonisti.

Come ultima cosa da segnalare, ma che nei comuni citati in oggetto non si è ancora presa in considerazione una lotta preventiva alla Ifantria americana a cui annualmente vengono sacrificate una quantità notevole di piante sia pioppi che ciliegi, ma in realtà colpisce di tutto e un trattamento a macchia di leopardo servirebbe ben a poco.

Il bilancio che si può fare di questa lunga chiacchierata, nonostante le ataviche pecche, sicuramente una prospettiva in positivo per gli anni a venire anche per gli incentivi che sono stati attualmente messi a disposizione del settore agricolo da parte della Regione Lombardia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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