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Il miraggio dell’immacolata decarbonizzazione

Le grandi imprese minerarie lamentano di essere snobbate dagli investitori e di avere uno stigma ambientale. Ma senza di esse, niente transizione ecologica

 

È possibile puntare su tecnologie pulite di generazione dell’energia senza “sporcarsi le mani” con i metodi e le tecniche per conseguirle? La risposta è ovviamente negativa e non ci sarebbe bisogno di precisarlo, se non fosse che questa specie di ottimismo panglossiano intorno a tutto quello che è ESG (gli standard ambientali, sociali e di governance aziendale) ha offuscato la visione sistemica. È vero che la classificazione ESG al momento appare in affanno per molti motivi, dalla demistificazione degli aspetti di puro marketing finanziario alla reazione anti-woke che si registra negli Stati Uniti, ma la visione sistemica fatica ad affermarsi.

Con visione sistemica intendo quella che abbraccia l’intero ciclo di realizzazione di tecnologie “verdi”. Detto in parole povere, non perdere di vista il fatto, in sé banale, che per ottenere pale eoliche e motori elettrici serve estrarre i minerali necessari alla produzione di materiali e processi. Sembra banale ma qualcuno ha deciso di riaffermarlo.

SETTORE MINERARIO SNOBBATO DAGLI INVESTITORI

È il caso di BlackRock, gigante globale dell’asset management che per primo anni addietro ha spinto con forza le tematiche ESG, su cui ora ha in corso un ripensamento tattico (dopo essere diventato bersaglio elettivo dei conservatori americani), che ha ritenuto opportuno, attraverso un proprio top manager, ricordare che il settore minerario necessita di capitali, auspicabilmente a costi non proibitivi. Senza tali capitali, si creano costosi colli di bottiglia nell’estrazione dei minerali che servono ad affermare le tecnologie verdi.

Il settore minerario tende ad essere snobbato dagli investitori, come testimoniato da multipli (il rapporto tra prezzo dell’azione e utile atteso, o simili) complessivamente bassi. Grandi multinazionali minerarie come Rio Tinto, Vale, Anglo American, BHP presentano rapporti prezzo-utile atteso intorno a 8,5, contro 18,5 per l’intero indice S&P 500. Ciò indica basso potenziale di crescita degli utili e/o applicazione di un premio al rischio. Piccola pedante nota per i puristi: non si tratta di allineare i multipli del settore minerario a quelli generali del mercato ma di osservare un loro aumento rispetto alla media storica, se vogliamo correttamente inquadrare la rilevanza dei minerali critici per la transizione ambientale.

Le aziende minerarie lamentano un elevato costo del capitale, che a sua volta deriva dalla loro frequente esclusione dagli indici ESG. Ma anche il profilo di rischio ha il suo peso: gli investitori ricordano la natura ciclica del settore ma anche la distruzione di valore causata in passato da ubriacature che hanno accompagnato l’ascesa della Cina nell’economia mondiale, e il suo vorace appetito per le materie prime. Fusioni e mega progetti hanno spesso causato voragini nei conti dei giganti minerari globali.

Secondo BlackRock, le aziende minerarie si sono emendate degli errori del passato: meno capitale sperperato e costo del capitale in calo, sia pure grazie ai generosi sussidi pubblici per garantire la sicurezza di approvvigionamento. Quindi il settore è attraente per gli investitori, è la sintesi. Per tenere assieme il pulito e lo sporco, si invitano le aziende minerarie a investire in decarbonizzazione dei processi estrattivi, segnalando che il mercato premia chi segue questa via, come dimostrerebbe il caso delle acciaierie statunitensi, che quotano a premio su quelle europee grazie al maggiore uso di tecniche di decarbonizzazione.

SENTIERO STRETTO

Un sentiero stretto che tuttavia deve essere percorso. Per ora, per mettere i soldi (dei risparmiatori) dove c’è la bocca, BlackRock ha lanciato un Etf tematico che investe sulle aziende che estraggono minerali centrali alla transizione ecologica. Per non buttare il bambino con l’acqua e il metallo sporco e tentare di lenire il senso di colpa degli investitori ambientalisti, e far rientrare dalla finestra quegli stessi nomi che oggi vengono evitati nei portafogli di investimento più devoti alla causa verde.

Se è vero che la percezione del fabbisogno di minerali per la transizione ambientale non appare ancora realisticamente dimensionata, ci sarà modo per i capitali per arrivare là dove servono: magari anche sbarazzandosi di tassonomie potenzialmente manichee che ostacolano il raggiungimento di quegli stessi obiettivi che affermano di perseguire. Per quanto riguarda invece il bilancio d’impatto ambientale delle nuove tecnologie cosiddette environmentally friendly, temo che anch’esso non sia ancora pienamente e correttamente percepito. Ma viviamo in un mondo di tradeoff sottovalutati o ignorati, come dovremmo sapere.

Per ora, un aiutino: non esiste in natura una cosa chiamata immacolata decarbonizzazione. A partire dal ruolo dei combustibili fossili nella transizione per finire all’estrazione dei minerali ad essa necessari.

 

Foto di Peter Dargatz da Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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