• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Il giorno di Barack Obama: cammino di speranza o corsa ad ostacoli?

Il giorno di Barack Obama: cammino di speranza o corsa ad ostacoli?

Ho visto l’insediamento di Barack Obama ieri sera in tv.

Era la prima volta che seguivo in diretta “l’incoronazione” di un presidente degli Stati Uniti. Curiosità, timore (di attentati), speranza.

Proprio “speranza” è stata la parola più usata, e forse abusata, di ieri.
Non solo dal 44° Presidente Usa, ma anche da prestigiosi colleghi e commentatori, e soprattutto dai semplici cittadini.

Certo, c’è bisogno di speranza, di quella ventata di energia fresca che ci faccia vedere la luce in fondo al tunnel, che riscaldi i cuori e sprigioni nuove energie.
Il mondo in cui viviamo non è certo il migliore possibile e la situazione globale in cui siamo precipitati da quasi un decennio, grazie alle scelte scellerate di George W. Bush e dei suoi alleati europei (con il nostro premier in testa), non lascia molto spazio all’ottimismo.


Obama, per tutta la campagna elettorale e nel discorso di insediamento di ieri, ha parlato di speranza e responsabilità, ha disegnato nuovi scenari futuri, ha lasciato intravedere la possibilità di un cambiamento.

Finora è stato un ottimo oratore. Oggi inizia il suo cammino da amministratore del “condominio a stelle-e-strisce”. E di primo attore delle vicende internazionali.
Su di lui si sono riversate le attenzioni e le aspettative del mondo. Aspettative forse troppo grandi, legittime dopo otto anni disastrosi di amministrazione Bush, ma probabilmente esagerate.

Un uomo solo, per quanto potente come il presidente degli Stati Uniti, non può cambiare i destini dell’umanità. Ma può dare il suo contributo. Barack Obama è atteso da un compito grave, difficile: la crisi economica in primis, poi la situazione internazionale con l’Iraq, l’Afghanistan, l’eterno conflitto tra Israele e la Palestina, la querelle con l’Iran, il fanatismo religioso legato a doppio filo con il terrorismo internazionale (alimentato dalle scelte allucinanti dei falchi della precedente amministrazione Usa), infine i rapporti di collaborazione con l’Europa, sono i banchi di prova con cui dovrà iniziare a confrontarsi da subito.

Poi ci sono un nuovo modello sociale da introdurre nel suo Paese. E la rivoluzione industriale, eco-compatibile, del terzo millennio da avviare.

La domanda è: quanta forza avrà Obama? Sarà in grado di contrapporsi o quanto meno di trovare un dignitoso punto di compromesso con le lobbies industriali ed economico-finanziarie che di fatto governano gli Stati Uniti e il mondo?
La scommessa è tutta qui. Le speranze e le enormi aspettative che la sua elezione ha generato dovranno fare i conti con la realtà. Da oggi inizia un nuovo cammino. Ma forse sarebbe meglio pensare a una corsa ad ostacoli.

Commenti all'articolo

  • Di pietro ancona (---.---.---.52) 21 gennaio 2009 13:44
     
     
     
    ----- Original Message -----
    Fr
     
     
    -----
    la retorica dell’imperialismo soft
    ===========================
     
     Mentre le rovine di Gaza continuano a fumare e la gente scava con le mani alla ricerca di corpi di persone seppellite dalle cannonate o dalle bombe lanciate da Israele ma di fabbricazione americana ed in Iraq in Afghanistan centinaia di migliaia di soldati americani e di contractors continuano a massacrare la popolazione per tenere in piedi governi quisling che probabilmente non riusciranno ad evitare la disintegrazione dello Stato irakeno ed assicurare un governo stabile e giusto all’Afghanistan, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, richiamando diverse volte l’ispirazione divina che guiderebbe gli Usa, ha pronunziato un discorso assolutamente vago nei contenuti ma abbastanza duro e preciso nella riconferma priva del tutto di autocritiche o di un qualche ripensamento del ruolo imperiale dell’America, del suo capitalismo, delle storture profonde di una società chiamata "sogno". Come Bush ha affermato che l’America non cambierà il suo stile di vita ed ha indicato nel terrorismo il demonio, il maligno che spaventa il mondo e che va ucciso. Il suo stile di vita consiste nella appropriazione del maggior parte delle risorse mondiali a vantaggio delle classi ricche e possidenti.
     Un discorso, un orazione retorica il cui valore principale è il richiamo ad una tradizione di padri ad una sorta di missione che DIO stesso avrebbe dato agli USA per portare sulla terra le regole del buon vivere.
     C’è una sorta di millenarismo nel richiamo alla natura quasi religiosa dello Stato americano che è tutt’altro che moderno e civile e che continuerà a generare violenza ed oppressione.
     Lo scenario, la messa in scena barocca dell’intera cerimonia di insediamento vuole sottolineare questa volontà di primazia, di potenza. Il massimo che l’umanità si può aspettare è che gli Usa saranno "buoni" e forse non ci puniranno mettendoci dietro la lavagna tutte le volte che riteranno di doverci mettere in riga, darci una lezione.
     Il punto focale del discorso è identico a quello del suo predecessore; la lotta al terrorismo . Si tratta di una scelta ideologica fondamentale attraverso la quale si continueranno a classificare gli stati in amici, nemici, stati canaglia, etc... Un modo di vedere e di leggere le relazioni internazionali in cui c’è gli USA continueranno a distribuire le pagelline ed a dare i voti.
     Gli USA sono investiti al loro interno ed hanno investito il mondo della più grande crisi finanziaria ed economica mai conosciuta. Secondo il nostro Ministro Tremonti nelle banche e nelle tasche dei risparmiatori ci sono titoli per un valore superiore di 12 volte e mezzo il valore del PIL dell’intero pianeta a causa di decenni di speculazioni truffaldine tipiche della fase della massima libertà del mercato liberista. Nel suo discorso la "crisi" è una sorta di entità metafisica , non ha responsabili, non c’è che da rimboccarci tutti le maniche e tentare di venirne fuori. Come?
     Il mercato del lavoro continuerà ad essere "libero" cioè a pagare pochi spiccioli i milioni di immigrati provenienti in gran parte dal Messico (separato da un muro lungo duemila chilometri dagli usa) e dagli altri paesi poveri del mondo. A parte gli immigrati ,i lavoratori guadagnano almeno il trenta per cento in meno degli anni settanta e sono sopravvissuti finora con le carte di credito. Ci saranno miglioramenti dei salari, delle pensioni, della sanità, del welfare? Neppure una parola. Semmai qualche misura di capitalismo compassionale oggi assai dimoda. Chissà se non darà una socialcard agli homeless come ha fatto il nostro Berlusconi (che però si vuole rifare subito aumentando a 65 anni l’età pensionabile delle donne)-
     Le due grandi questioni che oggi fanno riflettere sull’America, la questione sociale caratterizzata da una crescita impressionante del divario della ricchezza e della povertà e della precarietà e la questione imperiale legata alle politiche di controllo militare del mondo e di continua espansione delle basi militari anche nei punti più sperduti del pianeta non rientravano tra gli interessi di un discorso in cui la preoccupazione principale era quella di assomigliare il più possibile ai "grandi" presidenti americani della storia ed alla loro filosofia di durissimi rapporti sociali rivolti all’affermazione ed all’arricchimento. 
    Ma che cosa possiamo aspettarci da una nazione in cui la lotta politica si svolge tra due partiti espressione dello stesso blocco sociale capeggiato dalle multinazionali, impregnati dall’ideologia liberista? Il socialismo è stato bandito e criminalizzato quasi un secolo fa ed i sindacati sono saldamente nelle mani non dico della mafia ma sicuramente di chi ha interesse a riscuotere solo le quote versate dai lavoratori. Una società in cui al massimo si fronteggiano due visioni della politica delle classi dominanti: una brutale e l’altra soft.
    pietro ancona
     
     
     
     

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares