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 Home page > Tribuna Libera > Il gelso dell’Acquaviva

Il gelso dell’Acquaviva

Attiguo alla bellissima e struggente insenatura Acquaviva di Marittima, c’è un fondo agricolo a gradoni, ricco di vegetazione tanto da essere denominato “Bosco”. Su un suo terrazzamento, al tempo della mia infanzia, svettava rigogliosa una gran pianta di gelso (ancorché rimaneggiata, è tuttora in piedi), dal gustoso frutto nero violaceo che giungeva a maturazione durante il periodo estivo, quando consistenti gruppi della popolazione del paese erano soliti raggiungere quel tratto di mare per i rituali bagni.

Il podere non era né recintato né delimitato da muri; ufficialmente era intestato a una locale famiglia benestante, ma, per antica anche se non ortodossa consuetudine, si considerava alla stregua di proprietà comune. Pure il mitico albero di gelso era, quindi, ritenuto appartenente a tutti. Chi ne aveva voglia, vi si accostava, si arrampicava sui rami e faceva grosse scorpacciate di frutti, con golosa voracità e senza badare all’impiastricciamento della bocca e del volto.

I ragazzini - e, fra loro, io non potevo certamente mancare - facevano la parte del leone nelle scalate al benemerito gelso, in certo senso gareggiando a chi mangiava più more. A differenza dei grandi, dopo averne divorato a sazietà, essi piluccavano due manciate di frutti, quindi, con pressione fra dita e palmi, li spiaccicavano e, infine, adoperavano il succo zuccheroso che sgorgava grondante per dipingersi il volto e il corpo. Dopo le abbuffate e i camuffamenti da piccoli negri, con quattro salti, i monelli raggiungevano poi la distesa d’acqua salata sottostante e si detergevano vigorosamente, diffondendo intorno, ovviamente, un’innaturale chiazza di colore, ma arrivando alla fine a più o meno pulirsi il volto.

Purtroppo, in qualche occasione, le scalate all’amata pianta erano seriamente “disturbate” e fremiti di paura assalivano i giovani scalatori. Nel Salento, tra la fauna presente, è diffuso un rettile innocuo denominato biacco, dal colore uniformemente nero e, perciò, forse più impressionante, che, a quanto sembra, deve essere ghiotto di gelsi. Sta di fatto che talvolta, mentre noi eravamo sulla pianta, scorgevamo, giù sul terreno, uno o più esemplari di serpenti, lì convenuti per divorare i frutti caduti dai rami. Per la paura, ci guardavamo bene dallo scendere, fino a quando tali ospiti, sazi e appagati, non riprendevano a strisciare per far ritorno ai loro anfratti.

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