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Il gas libico è ostaggio delle tribù, e l’Italia di Putin

A due anni dalla rivoluzione, la Libia è ancora fuori controllo. Pareva almeno che gli interessi italiani fossero garantiti: il primato di ENI nell'estrazione di idrocarburi, in particolare, era rimasto invariato, e nuovi contratti erano stati siglati sia col cane a sei zampe che con altre nostre grandi aziende (es: Iveco, Sirti, Salini).
Già, pareva.

Sabato 2 marzo la Mellitah Oil & Gas, joint venture paritetica fra la libica NOC e l’ENI, ha bloccato il locale impianto di trasformazione del gas a causa di alcuni scontri a fuoco nel distretto di Nuqat al Khams. La struttura, che tratta circa 100.000 barili al giorno prodotti dal pozzo di El Feel e che rifornisce clienti come Edison, Gaz de france e Sorgenia ha arrestato la produzione e di mettere in sicurezza il personale e le installazioni, con la conseguente interruzione del flusso di gas attraverso il gasdotto Greenstream. Tale conduttura, anch'essa in comproprietà tra NOC ed ENI, convoglia tutto il gas che l’Italia importa dalla Libia (circa 150 mln m3 al giorno).

L'impianto è stato riavviato lunedì 4, ma il ripristino dei flussi di gas attraverso il Greenstream non sarà immediato. Per ENI il danno è stato tutto sommato limitato.
Secondo Linkiesta, però, c'è molto di che preoccuparsi:

in zona è presente un gruppo armato il quale "da giorni opera con l'obiettivo di fermare la produzione petrolifera e gasifera in particolare dal giacimento di al Wafa che si trova all'interno del sito e che rifornisce l'Italia e l'Unione Europea con 8 milioni di metri cubi di gas all'anno attraverso il gasdotto South Stream che arriva in Italia. Questa milizia ha chiesto il pizzo al governo. Vuole dei soldi in cambio dei quali è disposto a garantire la sicurezza dell'area desertica della Libia".

È un copione già visto: alla fine di una guerra civile, le varie tribù cercano di accaparrarsi le rendite che possono. Pretendendo un compenso dal governo - e probabilmente anche dalle compagnie - per garantire la "protezione" dell'impianto.

Il governo di Tripoli ha subito schierato l'esercito a difesa dell'impianto. Sempre Linkiesta - che riporta in tabella le importazioni italiane di gas per Paese di provenienza dal 1990 al 2011 - interpreta questa mossa sotto un duplice profilo.
Da un lato, la Libia teme di perdere le sue preziose rendite, più che mai fondamentali in un periodo di cronica instabilità come quello in corso. Dall'altro - e questo è interessante - tale mossa può servire per dimostrare ai vari fornitori nazionali in che modo si stia muovendo il settore del gas, per tentare di rinegoziare alcuni contratti dopo il brusco calo dei consumi dal dopo-crisi. E qui entra in gioco la Russia:

Eni è ancora legata a contratti del tipo “take-or-pay” con la Russia: se i volumi “prenotati” non vengono ritirati, Eni deve corrispondere una penale. Molti dei contratti libici, poi, sono legati a strutture contrattuali estremamente onerose, in cui il partner locale riceve una percentuale altissima del profitto (tra le più alte al mondo). Rinunciare al gas libico serve per dimostrare ai libici che di Libia si può fare a meno; e serve per dimostrare ai russi che di gas ce n’è così tanto, che ci si può permettere di chiudere un rubinetto a piacimento. Nel frattempo, se poi il rubinetto si chiude, si compra più gas dalla Russia, evitando di corrispondere onerose penali.

Del resto, se i consumi in Italia sono crollati, la Russia ci ha rimesso molto in termini di volumi esportati. Nel 2006 in Italia si consumavano ancora 83,5 miliardi di metri cubi di gas, di cui 22,5 di provenienza moscovita. Nel 2011 la domanda è scesa a 76,7 miliardi, coperti per 19,6 dai russi. Anche dall’Algeria le importazioni sono diminuite nello stesso periodo, passando da 25 a 21,3 miliardi. La Libia in periodi “normali” rappresenta il 12,5% delle importazioni italiane di gas. Ecco la mappa dei gasdotti e dei rigassificatori:

In merito a questo presunto “bilanciamento” del Cane a sei zampe tra Libia e Russia si scatena lo scetticismo degli operatori del settore. La voce tra gli addetti è che Eni, che controlla tutti gli accessi per l’importazione di gas in Italia, sfrutti le vicende libiche per ottenere vantaggi in chiave russa – come sarebbe già successo con la precedente chiusura di Greenstream in occasione della guerra civile libica. Le chiusure rappresenterebbero eventi dalla gestione difficile per molti operatori nazionali che operano su base geografica più limitata. Per fortuna, stavolta l’interruzione è durata poco e ha avuto luogo in un finesettimana, quando i consumi sono più bassi. Così, in poco tempo i malumori si sono chetati, e l’Eni ha un esercito in più a proteggerla.

Con il Greenstream a secco, e l’Italia è energicamente più vulnerabile.

E questo aspetto, soprattutto ora che Gazprom è vicina al controllo del gas di Israele, che Rosnerft ha rafforzato la sua alleanza con ENI e che le compagnie russe sono in piena corsa per acquisire le aziende energetiche greche DEPA e DESFA a prezzi di saldo, sta favorendo la realizzazione dei piani di Mosca nella geopolitica energetica italiana ed europea.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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