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 Home page > Attualità > Economia > Il caso Fiat è solo l’inizio!

Il caso Fiat è solo l’inizio!

La Fiat ha intenzione di trasferire parte della sua produzione in Serbia. Non s’illuda nessuno: questo governo non fermerà quanto sta per avvenire. Non può andare contro il suo stesso DNA. Il programma delle lobbies e delle multinazionali è chiaro a questa classe politica da sempre, fin da quando è scesa in campo soprattutto con il probabile sostegno delle suddette.

Con le seguenti parole, il Presidente del Consiglio ha commentato l’intenzione di FIAT di voler trasferire la produzione dello stabilimento di Mirafiori in Serbia:

“In una libera economia ed in un libero Stato un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione. Mi auguro però che questo non accada a scapito dell’Italia e degli addetti a cui la Fiat offre il lavoro!”

Dette da lui queste parole hanno prodotto su di me quasi lo stesso effetto delle parole dette da Ponzio Pilato a quelli che si aspettavano la liberazione di Gesù nel giorno in cui egli fece il gran rifiuto.

Fra un po’ si capirà bene cosa significherà per questo Paese aver affidato il massimo scanno del potere al più grande capitalista della nazione. Suona un po’ come aver affidato le pecore al lupo!

Ma se la Fiat delocalizza non a svantaggio dei lavoratori italiani, a svantaggio di chi lo fa? È ben chiaro, che chi ne farà le spese saranno tutti i lavoratori italiani che subiscono l’ennesimo scacco dal capitalismo di sfruttamento fino all’osso delle multinazionali.

Stiamo vedendo il vero volto della globalizzazione: ossia il regresso della società che ha prestato la sua forza lavoro alle multinazionali senza che lo Stato ci metta minimamente il dito.

Infatti, come ha commentato in un articolo su Repubblica Eugenio Scalfari, il caso Pomigliano potrebbe funzionare da “apripista” per un’illimitata serie di operazioni simili volte a coinvolgere tutto l’apparato industriale italiano, anche le medio-piccole e piccole imprese di tutto il centro nord.

In più, in vista della futura necessaria austerità fiscale, senza più lavoro nero e lassismo fiscale e un dollaro forte nei confronti dell’euro, c’è il rischio che le suddette aziende adottino anch’esse la medesima delocalizzazione che Fiat potrebbe attuare a breve.

E se a Pomigliano e a Mirafiori c’è ancora una parvenza di sindacati che possono contrastare in qualche modo tali operazioni, nelle medie e piccole imprese il sindacato è molto più debole, quando perfino inesistente. Cito ora la stessa inquietante domanda che Scalfari ha posto:

“Andiamo dunque verso un rapido azzeramento delle conquiste sindacali e dell’economia sociale di mercato degli anni Sessanta fino all’inizio di questo secolo?”

La risposta per me è affermativa, in più, quello che sta avvenendo è anche premeditato da anni. L’economia della globalizzazione ha in sé l’idea dell’omologazione delle società che attuano l’economia di mercato, ossia portarle tutte allo stesso livello. Ciò implica che i paesi ricchi e sviluppati debbano rinunciare ad una parte della loro ricchezza, mentre i paesi emergenti, per effetto della delocalizzazione della produzione di beni, miglioreranno il loro standard di benessere. Tuttavia i paesi ricchi hanno anche leggi sociali, statuti e Costituzioni, volte a proteggere i lavoratori, che vincolano altresì le grandi lobbies multinazionali a tali paesi; ecco perchè premono per rompere quei legami, per poter poi delocalizzare liberamente!

È giusto che i paesi poveri si sviluppino e migliorino il loro standard di benessere, ma è altresì giusto che le società evolute conservino le leggi e i diritti così duramente conquistati, che hanno permesso di raggiungere il benessere di qualche anno fa e anche numerose conquiste socio-culturali. Perciò urge trovare una soluzione e un’alternativa a questo modello di sviluppo basato esclusivamente sul libero mercato delle merci a scapito dei diritti. Le delocalizzazioni potrebbero anche avvenire, qualora si trovasse il modo di convertire le strutture abbandonate in qualcos’altro, facendo sì che la ricchezza acquisita non si perda, ma sia ridistribuita, soprattutto senza far perdere ai lavoratori i loro posti di lavoro insieme ai loro diritti. Cose queste, che permettono l’esistenza dignitosa di intere fette della società. Invece qui si lasciano i lavoratori con una mano davanti e una dietro!

In più, nel Bel Paese c’è un problema che in altri paesi evoluti che sostengono lo stesso modello di sviluppo è più lieve. Ossia la cattiva ridistribuzione della ricchezza. Infatti, in Italia i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, anche per colpa del sistema fiscale che prende dai meno ricchi e dai più poveri, i ceti medio-bassi, per intenderci, e invece non tocca i grandi evasori e i parassiti del sistema – entrambi dalla società sanno solo prendere e non dare. Se in tutto ciò limitiamo il lavoro e i suoi diritti il gioco è fatto: buona parte della popolazione diventerà ancora più povera, dato che in parte lo è già, essendo tale stato di cose già in essere! Infatti, l’Italia ha perso gran parte della sua produzione, e quindi ricchezza: il polo siderurgico e quello chimico. Adesso, qualcuno ha deciso che è ora di eliminare anche il polo delle automobili e successivamente quello metalmeccanico tout court, per trasformare definitivamente il Paese in un insieme di aziende di servizi senza regole e con manodopera a basso costo - quando va bene.

Questo governo ha sposato alla grande questo modus cogitandi e non si opporrà a quasi nulla di tutto ciò, anzi. Basti ricordare le parole dell’allora già premier in una delle sue comparsate alla Confindustria durante una delle sue tante campagne elettorali: “Il vostro programma è il mio programma!”

I commenti più votati

  • Di (---.---.---.56) 26 luglio 2010 14:17

    Sono d’accordo con il contenuto di questo articolo! Mi capita già spesso di vedere nel ricco Nord, nella "ex rossa Emilia" molti comportamenti di piccole e medie aziende (ma anche le grandi non hanno piu’ pudori) che rasentano la sopraffazione, che portano ad una vera e propria schiavitùs senza che alcuno possa proferire parola solo perchè il posto di lavoro diventa troppo prezioso per rinunciarvi per posizioni di difesa dei diritti! E i lavoratori sono diventati molto piu’ ricattabili, si mettono le categorie uno contro gli altri, gli indeterminati contro i precari..ma è solo una guerra dei poveri...a loro, gli industriali, anche medi tocca sempre il grosso del bottino. E non venite neppure a raccontarmi che "è molto tassato" oppure rischia con il suo capitale.....tutte frottole...gli industriali sono tutelatissimi ed hanno mille escamotage per evitare controlli, fisco, una legge sempre piu’ a loro favore...ai dipendenti resta solo di soffrire in silenzio!

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.56) 26 luglio 2010 14:17

    Sono d’accordo con il contenuto di questo articolo! Mi capita già spesso di vedere nel ricco Nord, nella "ex rossa Emilia" molti comportamenti di piccole e medie aziende (ma anche le grandi non hanno piu’ pudori) che rasentano la sopraffazione, che portano ad una vera e propria schiavitùs senza che alcuno possa proferire parola solo perchè il posto di lavoro diventa troppo prezioso per rinunciarvi per posizioni di difesa dei diritti! E i lavoratori sono diventati molto piu’ ricattabili, si mettono le categorie uno contro gli altri, gli indeterminati contro i precari..ma è solo una guerra dei poveri...a loro, gli industriali, anche medi tocca sempre il grosso del bottino. E non venite neppure a raccontarmi che "è molto tassato" oppure rischia con il suo capitale.....tutte frottole...gli industriali sono tutelatissimi ed hanno mille escamotage per evitare controlli, fisco, una legge sempre piu’ a loro favore...ai dipendenti resta solo di soffrire in silenzio!

  • Di pv21 (---.---.---.5) 26 luglio 2010 19:22

    Qualcuno conosce una bozza di piano nazionale di strategia industriale? Con le dimissioni di Scajola si sono volatilizzati i fantomatici piani alternativi di Termini Imerese. Basterà fare una nuova Società per "ripulire" Pomigliano. Chi può credere (oltre al governo) che le strategie imprenditoriali siano un sotto-prodotto di trattative sindacali? Chi può credere (oltre al governo) che l’economia si rilancia con le piccole imprese? Intanto la crisi (ex-ripresa) grava sul paese come Se fosse STAGNAZIONE ... 

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