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Il capitale umano, di Paolo Virzì

Dato che questo film è nel gruppo dei candidati all’Oscar 2015 come miglior film straniero, il mondo potrebbe dire dell’Italia e degli italiani che siamo molto malmessi, coi valori negativi attribuibili alle nostre vite (quelli della nostra economia ne sono conseguenza).

Sarebbe un altro film che mette in luce i nostri peggiori difetti, come l’Oscar di quest’anno, “La grande bellezza”: ma il libro da cui il film prende le mosse è totalmente americano, Human Capital di Stephen Amidon, ambientato nel Connecticut del 2001 (i tracolli di borsa del 2000 devono aver dato maggiore risalto a quei valori umani negativi). In una recensione al suo libro è scritto che “ognuno è consapevole del suo valore e ciò che abbiamo è la sola misura del nostri successi o dei nostri fallimenti”. Il “capitale umano” è quello che gli assicuratori attribuiscono come risarcimento alla vita di un uomo ucciso da un incidente, calcolato sui suoi futuri possibili guadagni, in pratica il valore monetario di una vita umana… In coda al film delle scritte ci dicono che la famiglia di un cameriere, morto in un incidente stradale mentre tornava a casa di sera in bicicletta, ha ricevuto 218.000 € come risarcimento: attorno a questo incidente si snodano i fatti del film, con interessanti ed esplicativi piani temporali sfalsati, o flash-back.

Il regista Paolo Virzì traspone la vicenda in una verosimile Brianza. Il personaggio “principe” è un tal Dino Ossola, interpretato in modo più che “verosimile” da Fabrizio Bentivoglio, agente immobiliare abbastanza anonimo o forse in calo di affari, che viene a contatto della coppia Bernaschi, Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Gifuni, residenti in una villa in cima alla collina da cui sembrano dominare il paese sottostante, con campo da tennis piscina e prati per il golf. La prima è Carla, una donna irrealizzata che finge esteriormente una vita piena, molto vuota in realtà, tra negozi “griffati” e accompagnata dal suo autista su una fiammante Maserati. Avrebbe potuto o voluto dedicarsi all’arte, qualcosa che interruppe e in cui vede maggior senso. Il secondo è un altrettanto credibile finanziere, di quei self-made man aggressivi e spregiudicati che credettero di saper diventare ancora più ricchi con mercati borsistici volubili, ha messo su qualcosa di simile a un fondo d’investimento, con personaggi abbienti come lui (le banche e le sim li chiamerebbero clientela “affluent”…). Richiama molto alla mente però quell’imbroglione di Bernie Madoff oppure, visto che siamo in Italia, imbroglioni più alla buona come Tonna e Tanzi della Parmalat. A un preoccupato summit di finanza in villa le macchine dei convenuti sono strettamente blu, tutte lucenti e di marca, il corteo si addirebbe anche a un funerale (quello delle auto simili di “Anime Nere” ad esempio, tra criminali e certi finanzieri la distanza non è poi molta).

Ci sono molti più personaggi naturalmente ma paiono far parte di un altro film o di un’altra storia, il tema principale è appesantito (o annacquato), si perde in vari rivoli e l’ora e cinquanta di durata deriva da un dilatamento inopportuno. Serena Ossola è la figlia di Dino, la bellissima Matilde Gioli, inizialmente fidanzata col rampollo dei Bernaschi, così le famiglie si sono conosciute. Valeria Golino è Roberta, compagna dell’Ossola, in un ruolo in fondo poco significativo. Luigi Lo Cascio è nella parte di un direttore artistico di un teatro dalla riapertura ormai improbabile, con lui Carla amoreggia convinta. Un cast fin troppo ricco.

Il tema principale, o più affascinante, a me pare quello “raccontato” dal personaggio di Fabrizio Bentivoglio: l’emulazione dei ricchi da parte di gente normale. Il voler assomigliare a loro, “illuminarsi d’immenso” con la vicinanza di questi, entrare nella loro cerchia per mezzo di partite di tennis o perfino volendo aderire al fondo d’investimento creato da Giovanni Bernaschi. Sembrerebbe attratto, l’Ossola-Bentivoglio, dal 40% prospettatogli come possibile rendimento di un anno, e perciò contrae un mutuo di 700.000 sulla sua casa che potrebbe valerne 900.000€ (potrebbero, sia il valore della casa e sia il rendimento, ma dopo sappiamo com’è andata): in realtà è attratto dall’entrare nel presunto “gotha” dei ricchi, il minimo sarebbe stato di 500 mila € (era in effetti questa la soglia più bassa con cui entrare in qualche “hedge-fund” italiano). Ma non si può far la figura dei meschini col nuovo importante amico (risparmiatori nella realtà hanno ritenuto di partecipare a un fondo per emulare i molto ricchi). Qualche dubbio a firmare l’adesione al fondo gli viene e firmando del resto attesta che quella quota di partecipazione è inferiore al 20% dei suoi investimenti (le legalissime clausole dei prospetti informativi!). Non ha nessun investimento in realtà e la casa è pure intestata a Serena, ma gli sembra di elevarsi ad una nuova classe sociale,a cui appartengono gli apparenti nobili: non sa “di che lacrime grondino e di che sangue”, e di quali vergogne. Salverà il suo denaro e pretenderà il 40% d’interesse con un ricatto, ma anche un bacio in bocca dalla povera Carla, forse anche questo un modo di avvicinarsi alla gente “alta”.

Interessante è pure il tema suggerito dalle frasi che scorrono sul trailer del film: "Vi vogliamo bene, vi vogliamo vincenti, vi vogliamo felici, abbiamo fatto tutto questo per il vostro bene, siamo i genitori migliori del mondo, per voi ci siamo giocati tutto… anche il vostro futuro. La rapacità di molti a volte è spiegata col bene dei figli, i nostri politici ne sanno qualcosa"

Il teatro Politeama non riaprirà, più conveniente per il gruppo di Bernaschi è realizzarne degli appartamenti, d’altra parte “con la cultura non si mangia”, lo disse un nostro celebrato ministro dell’Economia. E Carla al marito, la frase chiave del film: Avete scommesso sulla rovina di questo Paese e avete vinto. Un pronostico per l’Oscar? Pollice verso.

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