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 Home page > Tribuna Libera > Il Deserto dei Tartari della politica italiana

Il Deserto dei Tartari della politica italiana

La transizione si sta facendo strada. E' una transizione che non prevede semplicemente la ridefinizione dei rapporti politici, tra partiti, tra classe politica e società, tra individui che portano con sé un'istanza politica; la transizione si sta facendo largo tra le macerie di un sistema morente, nella revisione di una epistemologia dell'onestà ormai esaurita.

Come nel deserto dei tartari, la realtà si sta inaridendo, e anche la percezione delle dinamiche politiche è giunta ad una nuova fase. Dopo il terrore debitorio europeo, che ha mescolato crisi di sistema, insostenibili quanto radicate tradizioni e calcoli geopolitici, sta prevalendo in quest'ultima fase, una richiesta di stabilizzazione, sottile, ma distintamente percepibile. La volontà da molti espressa di mantenere a capo del governo Mario Monti ne è un segnale.

Il mero fatto è che una forma di sospensione (pericolosa e vitalizzante) sta prendendo il posto della mobilitazione. Anche le recenti parole di Susanna Camusso. tra le tinte vagamente operaiste, evidenziano un'istanza profonda di uno scopo, una ricerca di significato che si sta rafforzando nel paese1. Non che l'ideologia di un mediocre dirittismo si sia esaurita. Anzi, permane, alla ricerca di un qualche minuscolo leader che ne riceva magnanimamente le istanze.

Tuttavia una volta esauritisi i binari di scelta automatica sui quali abbiamo stupidamente veleggiato fino ad ora, ripetendo in refrain discorsi abusati e sgualciti, non ci resta che raccogliere le nostre cose. Per fare cosa? Qui giace il problema. Qui sta la porta spalancata dietro il Velo di Maya, verso un deserto dei tartari allucinato e solitario. Di qui la sovraesposizione ai tanti piccoli simulacri che ci siamo ricercati, ai Fiorito, ai Bertolaso, agli Schettino, scherniti da un giornalismo che non può che giocare il ruolo di uno spompato giullare, che al Re Lear, qui, non riesce neanche a svelare la verità, tanto siamo indeboliti, e quindi racconta di qualche piccolo ometto, non per evidenziare di fronte al Re le sue miserie, quanto per indicare un irrealistico colpevole. Il Re è nudo, ma nessuno intende dirglielo. E stavolta non è il sultano Berlusconi2, come gloriosamente proclamato in molte occasioni. E' stavolta il vero Re dello Stato, il futuro, gli italiani a venire e quelli in fase di costruzione, quelli che di queste macerie devono fare un luogo degno di essere chiamato casa.

Ora che il Re è nudo il logorante lavoro di raccontargli una storia diversa, in cui invece veste splendidi abiti, è analogo a ciò che il Risiko rappresenta per i governanti guerrafondai: un succulento giochino con cui soddisfare le proprie fantasie. E, si sa, agli italiani piace soddisfare le fantasie altrui.

Riteniamo un punto d'onore sbandierare il nostro essere italiani, senza alcun interesse per la necessità di rendere questo un punto d'orgoglio, o almeno non un motivo di vergogna. Ma soprattutto amiamo profondamente l'alternativa emergenziale costruita su un principio di specialità per cui la nostra personale vicenda sia necessariamente degna di provvedimenti straordinari. Ed ottenere provvedimenti ad personam, almeno questo l'abbiamo imparato, necessita un contatto col potere. Di qui una falsa alternativa che ricerchiamo nel riprodursi di connivenze, convinti anche che l'ottenimento di tale posizione sia fondato su di un moto intellettuale di diversità, dell'essere “altra gente”, dell'essere alternativi, di “meritarcelo”.

Di qui una concezione del potere falsamente ascendente, pseudoliberale, in cui è il potere a chinarsi per rispondere al piccolo stronzetto che vuole superare il suo vicino ed essere “più uguale degli altri”. Chi detiene il potere, tendenzialmente, non lo cede. Al limite lo esercita. E' necessaria un'onestà particolare e una sensibilità fuori del comune per comprendere che lo svolgimento di una funzione è differente da una dimostrazione d'imperio. Inutile dire che i nostri politici ancora non ci sono arrivati.

Ma noi, invece, l'abbiamo capito? Il democratismo ad oggi ancora non ci è arrivato, anzi, mantiene atteggiamenti totalitari a volte dai tratti realmente inquietanti. Una bava alla bocca che spaventa per il semplice fatto di distruggere qualsiasi prospettiva di alternative a dei politicanti devastati dallo scisma di una società civile dalle velleità anarchiche. Dovremmo preferire alla sinistra dei politicanti quella dei collettivi e delle piazze? Dovremmo abbandonare la destra dei nani e delle ballerine per raggiungere quella del razzismo di porcellana?

Dovremmo “morire, dormire.. forse sognare?”

Perché il motivo per cui questi governanti (anche amministrativi e imprenditoriali) dovrebbero provocarci al solo suono delle loro parole uno shock anafilattico è ormai pacifico. Ma in quale luogo dovremmo discutere sul motivo per il quale le nostre ragioni, avulse dall'andamento del paese, sono migliori delle loro? Quali destini dovremmo tracciare all'idea di un governo del buon signore, della brava lavoratrice, del giovane modernizzato?

Non si tratta di definire un'élite (politica o tecnica che sia) da contrapporre ad una massa ignorante (da tale definizione, facilmente si passa all'essere insignificanti, e dunque qualsiasi ingiuria ed umiliazione diviene lecita se il buon selvaggio oppone al “proprio bene”). 

Si tratta invece di capire che se del popolo è la sovranità (come pomposamente afferma la nostra encomiata Costituzione), la responsabilità storica e morale dell'evoluzione del nostro acciaccato paese e pianeta, non può che essere dell'uditorio, e non dei carnefici come invece ci viene annunciato da ogni scellerata sirena. Perché ovunque sussista e persista una violenza anche a bassa intensità, lì si trova uno scenario antropico visceralmente silenzioso, tacitamente colluso.

Dovunque hanno luogo scene di razzismo, bullismo, abuso d'autorità, corruzione (espressioni della stessa violenza), lì troveremo facce sorridenti al limite del plauso. E allora, come nell'Amleto shakespeariano la sottile linea tra vittima e carnefice tende a dissolversi. Solo uno specchio potrà allora difenderci dall'ignominiosa idea che il responsabile sia altro che uno schivo "noi".
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1la manifestazione di domani, a Roma, del No Monty Day sarà, credo, il principale evento tramite il quale individuare la futura evoluzione dello scenario politico italiano.

2che, con buona pace di Sartori, a me personalmente sembra il monarca di uno stato feudale mai venuto meno, non un assolutista, per quanto ci abbia provato ad esserlo. Non uno Shah quanto una macchia tra il Napoleone III e il Luigi XIV (o magari Luigi XVI, come lui prontamente decapitato quando le finanze andarono a rotoli).

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