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Il Binario 9 della stazione di Trieste

 
 
 
Giunto alla stazione di Trieste centrale, leggi i cartelli che indicano i numeri dei binari.

Sono nove. E decidi di recarti al binario numero nove, pur non sapendo se lì puoi in effetti andare, perché dalla distanza sembra essere un binario "morto", ma non intravedendo alcun divieto, cammini lungo la linea gialla che traccia il confine tra l'arrivo o la partenza in questa città. Tra cespugli verdi ed alti noti un cippo. Ferrovieri caduti in guerra e sul lavoro.
 
 
Un lungo elenco che inizia il giorno 8 marzo 1940 e termina il 15 aprile 1845, senza un vero ordine temporale, con alcuni nomi ed alcune date non facilmente leggibili a causa dell'inesorabile scorrere e correre del tempo.
Pensi a quando la sicurezza sul lavoro era all'ordine del giorno dei media.
Strage continua.
Strage che continua.
Nulla è mutato.
Tutto è mutato.
Caduti in guerra e sul lavoro.
Guerra e lavoro.
 
Morti. Nomi incisi, fiori spenti, silenzio e nessun retorico perché. Percorri neanche dieci metri ed incontrerai un secondo cippo. Un cippo commemorativo per i caduti triestini al servizio dell’Impero Austroungarico nella Grande Guerra. Mobilitazione generale, innumerevoli, nel senso che il numero preciso ancora oggi non è ben conosciuto, si parla circa di 4300 soldati, di tantissimi cittadini triestini, il giorno 11 agosto del 1914 partirono per il fronte orientale inquadrati nell’Imperial Regio reggimento di fanteria n. 97. Per essere massacrati nella macelleria mondiale come governata da generali inetti e criminali, molti dei quali, di qualsiasi nazione, ancora oggi onorati, venerati. 
 
Tra disfatte, miti, canzoni, battute, e misteri, la sensazione che avrai, in ogni caso è che il binario nove della stazione di Trieste, dormiente, silente, è un binario che ti accompagna in quel viaggio che unisce due tragedie diverse, unite dalla violenza della guerra, ma soprattutto che non tutti i morti, mandati al macello, “meritano” di essere ricordati con la stessa dignità, perché questa è la società. Perché la colpa dei soldati triestini, come lì ricordati, era quella di aver combattuto per l'Impero Austro-Ungarico, ovvero per quella che era in quel periodo la loro patria, patria colpita alle spalle dal proprio alleato, quale l'Italia, che avrebbe potuto continuare a rimanere neutrale, quella patria che è stata l'artefice della propria dissoluzione, quella patria, quale l'Impero, che ha determinato la prima guerra mondiale e violenze inaudite, per esempio, contro l'intera comunità serba.
 
Mentre i ferrovieri, certo, erano solamente dei ferrovieri. Accendi la solita sigaretta, ultimo e fugace sguardo ai cippi che ricordano i drammi reali del secolo appena superato e che mai dovrà essere dimenticato, e che qualcuno oggi vorrebbe riproporre, come se il passato nulla avesse insegnato, ed ascolti i tuoi passi, guardando quella linea gialla, chiedendoti chissà quali sogni, quali amori, coltivavano i ferrovieri morti nella guerra o nel lavoro, chissà quali sogni ed amori coltivavano i soldati triestini partiti per la macelleria mondiale. Chissà. Binario nove, nove come figliolanza, nella smorfia napoletana, numero potente, numero ideale, un numero che qui a Trieste semplicemente ti travolge nel dolore del silenzio.
 
 
Marco Barone

 

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