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Ida di Pawel Pawlikowski

In Polonia sul far degli anni 60 la tenera suor Anna vive, fin da quando era bambina piccolissima, in un convento dove prenderà i voti. Fu affidata alle suore alla morte dei suoi genitori, ebrei polacchi uccisi da altri polacchi durante l’occupazione tedesca. Invitata a farlo dalla madre superiora – in un convento l’invito è anche un ordine – va nel “mondo fuori” a conoscere una certa zia Wanda, l’unica presunta parente.

Apprende da Wanda di chiamarsi Ida in realtà, conosce così la sorte dei suoi genitori e come lei stessa scampò alla morte. In un viaggio con la “zia” nel paesino d’origine, recupera i resti dei suoi in un bosco, dà loro sepoltura con la cura e delicatezza che le appartengono: questa uscita è per lei occasione di avvicinarsi alla vita fuori dal convento e all’amore, sembra un uccellino implume appena nato e messo in un mondo di cui sa poco. È la zia a “educarla” un po’ (bellissima interpretazione dell’attrice Agata Kulesza), lei prostituta e dedita all’alcol, coi modi spicci di una donna che ha visto tutto e non crede più a niente, fino a volersi annientare, si porta addosso la colpa della morte dei genitori di Ida. Lei si definisce “puttana” e dice alla “santa” di non nascondere i suoi capelli così belli, le chiede come può imporsi la rinuncia all’amore carnale se ancora non lo conosce, non è una vera penitenza. Conoscerà anche quello, “e poi?”, chiede al ragazzo che la corteggia… chissà se il mondo fuori, una famiglia, dei bambini, un lavoro hanno poi così tanto da darle. 

Un film molto interessante, un bianco e nero che si fa apprezzare pure per i paesaggi, e per l’uso ottimale della poca luce nelle inquadrature fisse, nessuna sbavatura o concessione allo spettacolo: accurato.

Piccola considerazione da cinefili: il sito mymovies mostra che all’ultima rilevazione del 23 marzo 2014 il film ha incassato in Italia 303.000€, molti di più ne staranno incassando commedie all’”italiana” che godono del credito d’imposta o del riconoscimento di “alto valore culturale”, o film spettacolari per i quali si va comunemente al cinema nei giorni di festa, spesso perché “non si sa cos’altro fare”: proprio per questo poi non si torna al cinema, delusi, per diverso tempo, e ci si lamenta che “il cinema non è più quello di una volta”.

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