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I veri pericoli per la sicurezza

In un recente articolo su La sicurezza di Alfano avevo espresso la mia preoccupazione per tutto quello che si stava mettendo in campo facendo leva sul “terrore del terrorismo” per potenziare le varie polizie. Avevo dimenticato di aggiungere all’elenco delle prevaricazioni quelle che accompagnarono la lotta alle formazioni terroriste nei cosiddetti “anni di piombo” e che colpirono spesso molti che non solo non c’entravano affatto con le azioni di quei gruppi, ma le avevano criticate. Ne aveva parlato Emanuele Battain in un’intervista apparsa su “Critica comunista”, poi ripresa sul sito col titolo Controriforma della giustizia. Gli effetti di quell’involuzione del sistema giuridico italiano sono ancora visibili. Si pensi agli interventi repressivi contro i No TAV.

Oggi il pericolo di sviste clamorose è ancora maggiore, perché l’arbitrio degli organi repressivi a cui saranno delegate le indagini sarà stimolato e facilitato dalle mistificazioni xenofobe e islamofobe prodotte da gran parte della stampa. Non solo italiana, e non solo ad opera di giornalisti sprovveduti e ignoranti. Il compassato ministro degli Esteri britannico ad esempio ha affermato tranquillamente che espellere i militanti dello Stato Islamico dall’Iraq non sarà un compito breve, ma richiederà almeno un paio d’anni, senza essere minimamente sfiorato dal sospetto che lui non ha nessun diritto superiore a quello di chi ci è nato, e che avrebbe il diritto di chiedergli di restare lui a casa sua.

Avendo verificato che tutti e tre gli attentatori parigini erano nati e cresciuti in Francia, gli argomenti contro l’immigrazione comunque si sono momentaneamente indeboliti, anche se basta un’osservazione banale come quella del ministro degli Esteri Gentiloni sulla “possibilità” che qualche terrorista si infiltri tra i richiedenti asilo per scatenare la solita canea di allarmisti che vogliono ad ogni costo respingere tutti.

Ma l’indizio fondamentale per sguinzagliare i solerti poliziotti è diventata ora la conversione. Nella “laica” Francia hanno deciso di arruolare un certo numero di imam come cappellani islamici nelle carceri, dato che è risultato che gran parte degli attuali terroristi erano pochi anni fa ragazzi sbandati, piccoli spacciatori o ladruncoli, che in prigione hanno incontrato (invece che il consueto arruolamento in una banda di delinquenti più agguerriti) la predicazione di un loro simile “risvegliato” dal messaggio islamico. E hanno trovato convincente il mito dell’IS o di al Qaeda nella penisola arabica, come simbolo di un riscatto da una condizione realmente precaria e carica di umiliazioni.

Ma come si può inseguire e controllare tutti i convertiti all’islam, che non sono pochi e che a volte, qui da noi come in altri paesi d’Europa, non hanno neanche un antenato musulmano e la pur minima intenzione di aderire alla Jihad? Sono attratti dall’islam per la semplicità delle sue prescrizioni, per l’assenza di un clero, per le ragioni più diverse, come altri lo sono dai Testimoni di Geova, o dalle chiese pentecostali. O magari dai riti spettacolari della chiesa cattolica, come sicuramente erano alcuni dei milioni di filippini attratti dalla grande kermesse intorno alla venuta del papa…

La spiegazione è abbastanza semplice: il mondo in cui viviamo è sempre più difficile da spiegare razionalmente e materialisticamente (e siamo comunque in pochi a tentare di farlo). È difficile resistere alla disperazione guardando come vanno le cose, sempre peggio di anno in anno, per la stragrande maggioranza degli esseri umani, senza ricorrere alla speranza di essere sorretti da un intervento soprannaturale. Ne avevo parlato già negli anni Sessanta nel dibattito suscitato a sinistra dalla mia prima fatica di storico, che era dedicata a un movimento dell’Ottocento, ma che mi aveva consentito di accennare alla ripresa del sentimento religioso in molte parti del mondo e in particolare al fiorire delle sette millenariste in URSS, come sintomo di una crisi che si delineava in quella società.

Non sarà facile, insomma, arginare i pericoli che ci minacciano. La tattica dei gruppi jihadisti per seminare il terrore tra i loro concorrenti o i loro nemici, colpendoli in occidente, si basa sull’utilizzazione di un numero ridottissimo di militanti, difficili da identificare. I veri attentati in Occidente in questi anni sono stati in realtà molto pochi, in percentuali simili a quelli provocati da squilibrati nostrani che fanno saltare la casa da cui sono stati sfrattati, o da fanatici fascisti come il norvegese che uccise 77 ragazzi tra Oslo e Utoya. Per fortuna gli arruolati nella Jihad sono assai meno di quanto vogliano far credere le campagne allarmiste, che mettono insieme sulle pagine dei quotidiani episodi diversi non collegati e con retroscena diversissimi.

Ad esempio non aiuta accostare la lotta dello Stato Islamico per consolidare il suo territorio (in relativa convivenza con le multinazionali del petrolio, con cui ha fatto perfino contratti per la manutenzione degli impianti per poter continuare a vendere il combustibile anche in Turchia e in altri paesi) a quella di Boko Haram, che usa un qualche riferimento grossolano all’Islam, ma che si è sviluppato in una regione particolarmente povera e disgregata, in cui non tenta neppure di costruire strutture stabili: le sue entrate provengono dalle estorsioni e dalle razzie nei confronti degli ufficiali locali, dei negozianti ed altri imprenditori delle città, dei contadini e degli abitanti dei villaggi delle campagne. Inoltre riscuote le “tasse” dai commercianti e dai trasportatori presso i posti di blocco. Non ha bisogno assoluto di allevare soldati bambini, perché da anni l'agricoltura è crollata e in molti posti i campi giacciono incolti ed i mercati sono deserti anche in zone ancora sotto il controllo governativo. Per molti entrare in una formazione militare dedita al saccheggio è l’unica alternativa all’abbandono della terra natale (vedi l’articolo Boko Haram: califfato e stato rentier). Il loro comportamento richiama piuttosto quello delle bande armate che hanno sconvolto per anni – senza motivazioni religiose – Liberia, Sierra Leone ed altre parti dell’Africa Occidentale. Non a caso le zone in cui si è potuto diffondere più facilmente il virus Ebola…

Altre formazioni, come quelle nello Yemen e in genere nella penisola arabica, vanno ricondotte ugualmente a conflitti interni in cui la motivazione religiosa è inesistente o pretestuosa. Quando poi in una guerra civile, come quella che nel Congo ha provocato milioni di morti, non si può ricondurre il massacro a una motivazione religiosa islamica, e si ha a che fare soltanto con la distruzione totale del tessuto sociale provocata da continue scorrerie di armati provenienti dai paesi vicini, ciascuno spalleggiato da un lontano protettore e fornitore di armi, il disinteresse della grande stampa è invece totale. Analogo il disinteresse che ha nascosto agli occhi europei il massacro dei tamil (indù) da parte di truppe dello Sri Lanka a maggioranza buddista. Se ne è accennato appena di sfuggita in occasione della recente visita del papa, che si è offerto per aiutare la fase finale di una riconciliazione nazionale.

Invece pochissimo si è parlato di una novità davvero inquietante: in Israele in questi giorni lo Shin Bet, il controspionaggio di Tel Aviv, ha dato notizia che 7 arabo-israeliani della zona di Haifa, arrestati tra novembre e dicembre, sono stati incriminati per aver tentato di costituire un cellula di Isis nel Paese. Hanno tutti un'età compresa tra i 22 e i 40 anni. Tutti, quindi, erano nati in Israele e avevano studiato nelle scuole controllate dal regime sionista. Sono stati accusati di agire per un'organizzazione illegale, a sostegno di un'organizzazione terroristica e di aver tentato di entrare in contatto con un agente nemico. Ma questo non prova niente. Si è saputo in questa occasione che Israele aveva già arrestato circa 30 arabo-israeliani che sarebbero andati a combattere in Siria per conto di Isis, ma questa è la prima volta che viene scoperta una cellula degli jihadisti nel paese. Se ne è parlato poco, ovviamente, perché è molto imbarazzante ammettere la comparsa di questo fenomeno, che ha a monte non solo l’odio per l’oppressione nazionale del colonialismo sionista, ma anche la delusione per la scarsa efficacia del movimento palestinese, in Israele, nei territori occupati e a Gaza, e ancor più nella diaspora.

Questi 7 non avevano fatto niente, almeno per ora. Altri probabilmente li ammireranno, tanto più se il loro arresto sarà percepito come un processo alle intenzioni. Come identificarli? E come evitare che vengano incriminate persone colpevoli solo di aver espresso una ingenua ammirazione per i successi dello Stato Islamico mettendoli a confronto con la scarsa incisività dell’Autorità palestinese?

Intanto un ragazzo palestinese di Tulkarem, da solo, ieri è riuscito ad accoltellare una dozzina di passeggeri di un autobus urbano a Tel Aviv. Si era verificato qualcosa di simile già in passato, con la cosiddetta “intifada dei coltelli”, quando la frustrazione e la delusione aveva spinto diversi giovani a strappare un coltello dal banco di un macellaio israeliano e colpire a caso chi era presente nel negozio. Come prevenire, come fermare episodi del genere? Praticamente impossibile, senza una soluzione giusta, che è lontanissima.

In Israele c’è sempre qualcuno che dopo episodi del genere propone: deportiamoli tutti. Ma dove? E come far dimenticare al mondo che gli espulsi sarebbero stati ancora una volta scacciati da quella che era stata in un tempo non lontanissimo casa loro? E come dimenticare che di espulsioni Israele ne ha fatte moltissime (oltre a un numero enorme di arresti illegali) senza risultati?

E che c’entra la religione? Negli anni in cui si moltiplicarono gli attentati individuali di questo tipo, e anche i casi di attentatori suicidi, risultò che diversi dei protagonisti non erano islamici: qualcuno era laico, una ragazza era cristiana.

Eppure nel senso comune degli analfabeti di ritorno, che si formano le idee con i titoli dei telegiornali, è l’Islam ad essere responsabile di tutti i mali, e a incarnare il peggio di tutte le religioni. Ignorano che l’Islam - come ogni religione - si muove nella società, e si modifica con essa nello spazio e nel tempo. Per secoli la Chiesa cattolica è stata orrenda e ripugnante (ma anche quelle evangeliche non scherzavano: mandavano poco evangelicamente sulla forca gli eretici e davano anch’esse la caccia alle streghe, e Lutero incitava allo sterminio dei contadini in rivolta, oltre a diffondere idee antisemite), mentre in alcuni periodi l’Islam di Omar Khayam o quello riflesso nelle Mille e una notte erano enormemente meno reazionari, anche sul piano della morale sessuale.

Quando il mondo islamico ha cominciato il suo declino negli ultimi due secoli dell’impero Ottomano non pochi intellettuali avevano progettato riforme e modernizzazioni, soprattutto in Egitto e nella stessa Istambul, ma non solo lì: furono le crescenti ingerenze delle potenze europee che riuscirono a bloccarle e arginarle nella seconda metà del secolo XIX. Quanti lo sanno? E quanti sanno che il potere degli Ayatollah in Iran non era fatale: ha trovato spazio solo per i cedimenti della sinistra marxista del Tudeh imposti dalle oscillazioni della burocrazia sovietica, e dopo la soppressione violenta dell’esperimento nazionalista, riformatore e laico, di Mossadeq, da parte di un colpo di Stato organizzato dalla CIA che si appoggiava sulle tribù più arretrate legate allo shah?

In questa fase di grande confusione e di grande ignoranza c’è chi se l’è presa in alcuni siti internet col padre Dante, indignandosi per il suo pregiudizio antiebraico, ed altri hanno casomai segnalato il suo pesante pregiudizio verso Maometto. Ma raramente hanno ricordato che anche un uomo che doveva molto alla filosofia islamica (preziosa perché aveva salvato molti testi ellenistici distrutti dall’ignoranza e dai pregiudizi dei monaci amanuensi cristiani) non poteva non risentire degli echi del clima di intolleranza che aveva accompagnato e giustificato le crociate (che tra l’altro alcuni settori integralisti cristiani continuano a considerare ancora oggi un buon esempio…).

Oggi c’è non solo il problema prioritario di non partecipare alla crociata antislamica che usa come pretesto i morti di Parigi ignorandone altri (le 200.000 vittime del “laico” Assad in Siria, ad esempio) ma anche di capire la regressione che investe molte società. Un esempio: più di mezzo secolo fa una pratica barbarica come le mutilazioni genitali femminili era in netta regressione anche nella loro culla (il Corno d’Africa) per effetto dell’iniziativa cosciente di organizzazioni femminili laiche, ma l’effetto combinato della distruzione dell’istruzione pubblica (che ha colpito come sempre per prime le donne) e della sanità (quindi consultori, ecc.) in tutti i paesi africani, come conseguenza delle politiche imposte da BM e FMI, ha portato non solo a una loro ripresa come segno identitario, ma alla diffusione e imposizione in aree prima non toccate.

Ribadisco: barbariche, ma praticate su donne islamiche, cristiane ed anche ebree (le falashà) in Etiopia, e assolutamente non previste dal corano, eppure attribuite all’islam dal senso comune degli ignoranti anche su importanti testate giornalistiche. Spiegarlo non vuol dire essere indulgenti verso questa o qualche altra forma di ripresa di tradizioni retrograde, ma sottrarle a un ragionamento fatalistico che le attribuisce a una specie di predisposizione, e le utilizza come pretesto per seminare odio e disprezzo.

E, per concludere, il mio allarme nei confronti dell’ondata allarmistica sul pericolo islamico come ieri di fronte al fenomeno terroristico, è legato alla certezza che le nuove restrizioni ad esempio alla libertà di circolazione prevista dagli accordi di Shengen, comunque motivate, colpiranno per primi tutti quelli che non accettano lo stato di cose esistente. Non a caso, al momento delle prime marce europee, e dei primi Forum sociali, le misure restrittive colpirono militanti che col terrorismo non avevano nulla a che vedere.

Ad esempio Alexis Tsipras insieme ad altri fu caricato a forza – in modo del tutto illegale – sulla nave da cui era appena sbarcato ad Ancona. Non lo dimentichiamo mai. La democrazia, anche in Europa, non è affatto consolidata e garantita dalle velleità repressive di gente come Alfano…

 

Foto: Tony Webster/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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